La sentenza del Tar Lazio che ha annullato cinque delle importanti nomine su cui il Ministero aveva puntato per rilanciare la gestione dei principali poli museali italiani ha sollevato, com’era prevedibile, un vespaio di polemiche. Ma dopo le pesanti critiche con cui alcuni esponenti del Governo si sono scagliati nei confronti della magistratura amministrativa , l’Unione nazionale degli avvocati amministrativisti ha deciso di intervenire pubblicamente per esprimere «profonda preoccupazione» per l’inasprirsi dei toni e invita ad un maggiore rispetto della giurisdizione. «L’attacco mosso alla magistratura amministrativa – si legge nella nota diffusa ieri dall’Unaa – è perciò particolarmente grave: scredita davanti all’opinione pubblica un elemento fondamentale del nostro sistema costituzionale di tutela; suona come una intimidazione nei confronti del Consiglio di Stato, che esaminerà l’appello preannunciato; mira a sottrarre a un effettivo sindacato giurisdizionale gli atti dell’esecutivo».
Il Ministero dei beni e attività culturali, scrivono gli avvocati amministrativisti in una nota -ha tutto il diritto di censurare la decisione del Tar e di appellarla, «ma è particolarmente grave che – in conseguenza di una sentenza eventualmente sbagliata – si pensi di dover incidere sul giudice che l’ha emessa per limitarne i poteri».
Quello che in realtà non viene compreso – spiega la nota- è «che il TAR è giudice che deve garantire la tutela dei cittadini nei confronti degli atti dell’Amministrazione, annullandoli se li ritiene illegittimi. Non spetta al giudice amministrativo decidere se gli atti che esamina sono conformi o meno all’interesse pubblico, se la nomina dei nuovi direttori dei musei, siano essi italiani o stranieri, è una cosa buona oppure no. Se lo facesse, si sovrapporrebbe all’Amministrazione. Spetta a lui di decidere se un atto impugnato da un soggetto che ne viene leso sia illegittimo oppure no in base alle leggi vigenti. E’ un giudice terzo tra parti (compresa quella pubblica) che sono davanti a lui in posizione di parità. Se no, non sarebbe un giudice».
La riforma della giustizia amministrativa – prosegue la nota – «ben può essere oggetto di dibattito, e anzi deve esserlo, ma non certo come ritorsione ad una delle – peraltro rare e non definitive – sentenze che annullano gli atti amministrativi, quanto piuttosto per rafforzare l’indipendenza del giudice dai condizionamenti dell’esecutivo e per garantire il rispetto dei principi costituzionali, rispetto senza il quale l’Italia non potrà reagire efficacemente ai fenomeni dilaganti di inefficienza, corruzione e malgoverno».