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No al licenziamento della lavoratrice che dopo il parto non prende servizio in altra città

Licenziamento, maternità e cambio di sede: il caso

In materia di diritto del lavoro, la tutela della donna in stato di gravidanza è questione spinosa e spesso fonte di grandi dibattiti, sia nel mondo giuridico che nelle speculazioni di natura socio-culturale.

È quindi di particolare interesse un recente caso deciso dalla Corte di cassazione inerente la vicenda di una lavoratrice responsabile di un punto vendita di una azienda che, rimasta incinta, era andata in maternità ed era stata sostituita nella mansione che svolgeva da un altro lavoratore. Quest’ultimo veniva assunto dalla società a tempo indeterminato nella medesima posizione rivestita dalla donna in maternità, con una effettiva sostituzione di fatto della lavoratrice madre.

Al suo rientro a lavoro, a seguito anche di un ulteriore periodo di ferie arretrate (la cui fruizione era stata chiesta dalla stessa società datrice di lavoro) la lavoratrice veniva spostata di sede, in quanto la sua mansione era ormai rivestita dal collega che l’aveva sostituita.

La signora rifiutava il trasferimento di sede da Firenze a Milano, e l’azienda per la quale lavorava la licenziava.

Licenziamento, maternità e cambio di sede: la pronuncia in corte d’appello

La corte d’appello di Firenze con la sentenza n. 938 del 2013, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento della lavoratrice deciso sulla base del suo rifiuto di prendere servizio della sede di destinazione. In particolare, sosteneva che la reale motivazione alla base del licenziamento fosse l’espulsione della lavoratrice, proprio in ragione dello stato di maternità.

Secondo la corte d’appello quindi “il rifiuto di prendere servizio a Milano [..] era pertanto giustificato ai sensi dell’art. 1460 c.c.”, anche alla luce dello stato di famiglia della lavoratrice, “madre di un figlio in tenera età”.

Veniva di conseguenza annullato il trasferimento della sede di lavoro dal punto vendita di Firenze a quello di Milano.

Licenziamento, maternità e cambio di sede: la decisione della Corte di Cassazione

Contro la sentenza della corte d’appello ricorreva in Cassazione la società datrice di lavoro, ritenendo – tra gli altri motivi – che la corte d’appello avesse “valorizzato circostanze che non trovavano riscontro negli atti processuali e non rappresentavano elementi costitutivi atti a negare fondamento alle ragioni del trasferimento”, e che non avesse valutato correttamente l’intero quadro probatorio, risultante dalla prova documentale e del quale era stata offerta prova testimoniale.

Con la decisione n. 3052/2017 i giudici hanno disatteso le istanze del ricorrente, ritenendo che la ricostruzione operata dalla Corte di appello sia stata effettuata correttamente.

In particolare, sottolineano che “gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati tenuti presenti dalla Corte territoriale, ma ritenuti superati dalle ulteriori risultanze o comunque non decisivi. Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione può dirsi omessa, né può quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze”.

Peraltro, nel richiamare un precedente della stessa corte a sezioni unite (sentenza n. 8053 del 2014), la Cassazione specifica come “la lacunosità e la contraddittorietà della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, né può fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che è stata comunque valutata dal giudice del merito”.

È pertanto illegittimo il licenziamento fondato sulla mancata presa di servizio in una sede differente da quella originaria al rientro dal periodo di maternità.

Chiara Pezza

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