Nessuno sconto di pena per i dirigenti della ThyssenKrupp. È quanto stabilito dalla III sezione penale della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 48195 del 19 ottobre 2017. Tale decisione a fronte del ricorso di Harald Espenhahn, amministratore delegato e membro del comitato esecutivo della “ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni s.p.a.”, condannato per reati di omicidio colposo aggravato ed incendio colposo, nonché per il reato di cui all’art. 437 cod. pen., ovvero “rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”.
La decisione della Corte, arriva dopo quanto stabilito nella celebre vicenda che ha infiammato le cronache giudiziarie, già dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 38343 del 24 Aprile 2014, destinata a far storia in virtù delle specifiche sulla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente.
Condanna definitiva e ricorso straordinario ex 625 bis c.p.p.
Con la sentenza n. 52511 dello scorso 13 maggio 2016, la IV sez. della Suprema Corte, aveva rigettato i ricorsi degli imputati chiedendo una rideterminazione della pena inflitta ad Espenhahn sulla base di un ritenuto aggravamento delle imputazioni addebitategli.
L’a.d. ha presentato ricorso ritenendo che la pronuncia del tribunale di legittimità fosse fondata su una errata percezione della realtà risultante dagli atti e dai documenti di causa.
A sostegno di questa tesi vengono dedotti una serie di motivi volti a dimostrare come le SS.UU. avessero annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Torino limitatamente alla ritenuta esistenza della circostanza aggravante di cui al capoverso dell’art. 437 cod. pen., con conseguente assorbimento del reato di cui all’art. 449 cod. pen. (demandando al giudice del rinvio la rideterminazione delle pene in ordine ai reati di cui agli artt. 437, comma 1, 589, commi 1, 2 e 3, 61 n. 3, 449 in relazione agli artt. 423, 61 n. 3 cod. pen). Al contempo, il giudice del rinvio aveva ritenuto che l’esclusione dell’ipotesi aggravata di cui al 437 c.p. non comportasse, la rideterminazione della pena di cui al 589 c.p., ipotesi delittuosa del tutto diversa.
Passaggio chiave di questo ragionamento è la tendenza ad escludere una relazione eziologica tra la omissione dolosa di cautela e l’evento “disastroso”, non determinandosi così alcun effetto sulla integrazione dell’omicidio colposo, tale da non influire sul trattamento sanzionatorio.
La IV sez., avendo invece disposto per la modifica del trattamento sanzionatorio con riguardo a tutte le fattispecie oggetto dell’imputazione – nelle parole del ricorso – sarebbe stata “tratta in inganno dal numero degli atti processuali e dalle diverse contestazioni formulate nei confronti degli imputati”, producendosi così un errore interpretativo delle fattispecie.
La decisione della III sezione.
Nel rigettare il ricorso, la Cassazione fa un ragionamento di carattere preliminare soffermandosi essenzialmente sul proprio ambito di operatività in materia.
Ne proviene – anche in base ad una serie di pronunce precedenti – che da tale ambito sono da ritenersi esclusi gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione a loro di un’inesatta portata.
La Cassazione, infatti, può essere chiamata ad intervenire sugli errori di fatto definiti nella pronuncia come quelli – richiamando la terminologia utilizzata dell’art. 395, n. 4 cod. proc. civ. – nel supporre “la esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa” ovvero nel supporre “l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita” e purché tale fatto non abbia rappresentato “un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare”, anche implicitamente ovvero che appartenga per legge al dibattito processuale in quanto questione rilevabile d’ufficio; che l’errore di fatto deve rivestire “inderogabile carattere decisivo”; che l’errore può consistere anche nell’omissione dell’esame di uno o più motivi di ricorso, sebbene entro determinati limiti, specificamente menzionati.
Il ricorso presenta invece una riflessione maggiormente ponderata ad errori valutativi e di giudizio, sui quali la Suprema Corte non può essere chiamata ad intervenire. Di converso, non essendoci errori di fatto all’interno della sentenza impugnata (comunque non dedotti dal ricorrente) il ricorso si ritiene manifestamente infondato e per tale viene dichiarato inammissibile.
Francesco Donnici