Non è aggravato lo spaccio di droga nei pressi dell’università rispetto a quello effettuato vicino ad una scuola. E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n.27458/17, dove nel caso in cui il traffico di sostanze stupefacenti avvenga all’interno di un ateneo o di un campus universitario non si applica l’aggravante prevista dalla legge per tutte le ipotesi in cui, invece, la vendita della droga venga effettuata in prossimità di «scuole di ogni ordine o grado» o «comunità giovanili». A questo punto, però, per meglio comprendere la ragione alla base di questo provvedimento, è opportuno spiegare le motivazioni che hanno portato la Suprema Corte a tale soluzione, tentando di capire perché allo spaccio di droga vicino l’università non si applichi l’aggravante.
Però, prima di affrontare la questione, è importante ricordare che detta aggravante legittima l’aumento della pena da un terzo alla metà, nonché l’arresto e la detenzione in carcere. Il cosiddetto Testo Unico sulla droga prevede il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, che scatta verso chi coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope indicate nelle cosiddette «tabelle».
Il rapporto di “relazione immediata”
Ora, una volta chiarita questa circostanza preliminare, possiamo esaminare tale importante pronuncia della Suprema Corte. In effetti, secondo i giudici di Piazza Cavour, tra i luoghi indicati e le aree di prossimità deve sussistere un rapporto di “relazione immediata”, che in tal modo giustifica la previsione dell’aggravante, riferita alla oggettiva localizzazione della cessione o dell’offerta dello stupefacente alle persone che frequentano tali luoghi. In altri termini, il concetto di «prossimità» secondo la sentenza in commento, deve essere inteso come contiguità fisica e posizionamento topografico dell’agente dedito allo spaccio in un luogo che consente l’immediato accesso alle droghe alle persone che lo frequentano. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha escluso la ravvisabilità dell’aggravante in concreto sul rilievo assorbente della mancanza del requisito della “prossimità” della condotta incriminata rispetto all’università, giacché la contestazione si riferiva genericamente alla cessione della droga “in prossimità dell’area universitaria”, in senso molto ampio e aspecifico, in una città in cui la zona universitaria occupava interi quartieri; mentre per la pertinente contestazione si sarebbe dovuto apprezzare la “prossimità” della condotta incriminata, ossia la contiguità fisica e il posizionamento topografico dell’agente dedito allo spaccio o all’offerta in un luogo che consenta l’immediato accesso alle droghe delle persone che lo frequentano.
L’ambito di applicabilità della circostanza aggravante
Inoltre la Suprema Corte, sul punto, affronta il tema dell’ambito di operatività della circostanza aggravante prevista dall’articolo 80, comma 1, lettera g), del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, configurabile nell’aver offerto o ceduto sostanze stupefacenti o psicotrope all’interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti. La finalità dell’aggravante, come è noto, risiede nell’esigenza di tutelare e preservare dal fenomeno della diffusione degli stupefacenti, comunità notoriamente più aggredibili, perché frequentate da persone potenzialmente a rischio di fronte al pericolo droga, o per la giovane età o per particolari condizioni soggettive. Il tema affrontato dal giudice di legittimità, invece, riguarda l’applicabilità della fattispecie aggravata alla “università”, nonostante una indicazione letterale che non comprende questa specifica comunità giovanile. La Corte, invece, propende per una soluzione positiva, assimilando l’università alle altre comunità giovanili, prese letteralmente in considerazione dalla norma.
La decisione
Pertanto, è evidente che la nozione di “scuola” non possa non ricomprendere anche l’università, rilevando assorbentemente che l’università è proprio quella tipica “comunità giovanile” cui la norma si riferisce. Nello specifico, piuttosto, la Suprema Corte ha ritenuto inapplicabile l’aggravante per difetto del requisito della “prossimità”: mancava, infatti, nella fattispecie concreta, la positiva dimostrazione che il fatto incriminato si fosse effettivamente svolto nelle “immediate vicinanze” delle strutture universitarie, onde non poteva ritenersi dimostrato che si fossero realizzate le condizioni di “rischio” per i frequentatori della comunità poste alla base dell’aggravante. Ne deriva, quindi, una pacifica indicazione interpretativa che vuole contestabile l’aggravante in questione in caso di spaccio che interessi la comunità universitaria, purché però si dimostri in positivo la contiguità della condotta rispetto agli spazi universitari, frequentati dagli utenti istituzionali oggetto di particolare protezione.
Mariano Fergola