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Omicidio del figlio adottivo: niente ergastolo per il padre

L’omicidio del figlio adottivo e l’omicidio del figlio naturale non sono, per l’ordinamento penale italiano, equiparati e sanzionati in misura eguale.

La distinzione tra figli legittimi e figli naturali è ormai un retaggio superato e non più compatibile con il complesso dei principi del nostro ordinamento costituzionale, come dimostrato dalla recente riforma civilistica sulla filiazione del 2013; tuttavia, l’ordinamento penale italiano non si è adeguato a tale evoluzione e la recente pronuncia del 28 settembre 2017 della Corte di Cassazione sembra al contrario ribadire la permanenza di una distinzione tra figli legittimi e figli naturali.

Omicidio del figlio adottivo: no all’aggravante della consaguineità

La vicenda che ha originato la pronuncia della Suprema Corte è quella che ha visto come imputato Andrei Talpis, un uomo moldavo che, nella provincia di Udine, nell’ormai lontano 2013 uccise con un coltello da cucina il figlio adottivo di 19 anni. L’omicidio ha dato luogo ad una lunga vicenda giudiziaria che aveva portato ad infliggere all’uomo la condanna più grave: l‘ergastolo, confermato dalla Corte d’Assise d’Appello di Trieste.

La Cassazione, tuttavia, accogliendo la difesa dell’imputato, ha escluso la sussistenza dell’aggravante della consanguineità ed ha quindi rimesso la determinazione del trattamento sanzionatorio alla Corte d’Assise d’Appello di Venezia che dovrà ora procedere alla rideterminazione della pena escludendo la sussistenza dell’aggravante, attenendosi al limite minimo indicato dalla Corte di 16 anni.

La vicenda giudiziaria, dunque, non è ancora giunta al capolinea e dovrà nuovamente passare al vaglio dei giudice di secondo grado.

La ratio alla base della pronuncia della Cassazione è che nel rapporto tra genitore adottante e figlio adottivo non è possibile ravvisare un reale rapporto di consanguineità quale invece esistente nel rapporto genitore-figlio naturale.

Come evidente, non esiste una discendenza naturale ed un conseguente vincolo di sangue nei rapporti di adozione e ciò di per sé è idoneo ad escludere la possibilità di applicare l’aggravante in questione. Non essendo infatti stata modificata la legge penale e riferendosi l’aggravante in maniera specifica ed inequivoca all’esistenza del vincolo di sangue, il generale e fondamentale principio del divieto di analogia in malam partem ed il principio del favor rei impediscono di estendere l’applicazione dell’aggravante ai rapporti con il figlio adottivo. Questi, dunque, fino al necessario intervento del legislatore (che si auspica possa arrivare tempestivamente) restano assoggettati alla normativa penale che esclude l’aggravante, come se dunque il rapporto di filiazione non esistesse.

In virtù di ciò, l’uomo imputato responsabile dell’omicidio del figlio adottivo non sarà condannato all’ergastolo ma ad una pena detentiva non inferiore a 16 anni ma probabilmente contenuta entro la soglia dei 30 anni, in virtù dei benefici connessi alla scelta del rito abbreviato.

Martina Scarabotta

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