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Pacchetti TV: pratica commerciale sleale se l’informazione non è chiara e completa

Pacchetti TV: pratica commerciale sleale se l’informazione non è chiara e completa

Secondo il sociologo Zygmunt Bauman, recentemente scomparso, l’attuale mondo dell’informazione è dominato prevalentemente dall’impulso.

Un contenuto, sia esso prodotto a scopo editoriale o commerciale, viene parametrato su una sorta di carpe diem dell’attenzione dell’interlocutore. Sempre secondo Bauman, tali contenuti, oggi, sono pensati per diventare virali e fare dunque breccia nell’inconscio di lettori o consumatori che – in un certo senso – “mettono a tacere la ragione”.

Gli utenti – ed in maniera particolare il “consumatore” – necessitano quindi di nuove ed approfondite forme di tutela, affinché le loro scelte siano il più razionali (e ragionate) possibile.

Si potrebbe leggere in questo senso la sentenza C-611/14 depositata lo scorso 26 ottobre, con la quale la CGUE ha riconosciuto come pratica commerciale ingannevole”, la diffusione di messaggi pubblicitari per un abbonamento relativo a un pacchetto di programmi televisivi nei quali è indicato il forfait mensile, ma non quello semestrale.”

I Giudici lussemburghesi erano stati chiamati ad esprimersi sull’interpretazione della direttiva 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali sleali e sulle disposizioni nazionali atte a convertirla.

Nel sottolineare la mancata trasposizione di disposizioni equivalenti all’articolo 7 (rubricato “omissioni ingannevoli”) la Corte ricorda come la direttiva del 2005 suddivida “le pratiche ingannevoli in azioni e omissioni ingannevoli. Per quanto concerne le omissioni, la presente direttiva elenca un limitato novero di informazioni chiave necessarie affinché il consumatore possa prendere una decisione consapevole di natura commerciale”. Pratiche commerciali ingannevoli vengono sono “quelle pratiche, tra cui la pubblicità ingannevole, che inducendo in errore il consumatore gli impediscono di scegliere in modo consapevole e, di conseguenza, efficiente.” Orientamento consolidato nel tempo, ma che necessitava di essere parametrato al nuovo mondo del web marketing and information, al fine di fornire agli utenti (anche) una specifica tutela da scelte figlie dell’irrazionalità indotta dai contenuti di nuova generazione.

La controversia. La questione interpretativa devoluta alla CGUE deriva dal procedimento penale a carico della Canal Digital Danmark A/S, società fornitrice di programmi televisivi (in particolare sotto forma di pacchetti ad abbonamento).

L’accusa mossa alla società danese era quella “di aver violato la normativa in materia di pratiche commerciali scorrette” con fatto riferimento ad una campagna pubblicitaria composta da due spot televisivi ed alcuni banner pubblicitari diffusi online in cui venivano date informazioni sui prezzi dei pacchetti tv offerti solo con riferimento al prezzo del forfait mensile di 99 corone danesi (circa 13,30 EUR), mentre le informazioni relative al prezzo dei “servizi connessi alla tessera”, corrispondenti ad un  forfait semestrale di DKK 389 (EUR 52,30 circa), venivano presentate in maniera marginale con caratteri e dimensioni poco visibili.

La pronuncia. A fronte del rinvio operato dal Giudice danese, la Corte riprende le parole della direttiva del 2005 e ricorda quanto sia “opportuno proteggere tutti i consumatori dalle pratiche commerciali sleali.” La nozione di consumatore medio è tutt’altro che statica, per questo bisogna considerare una serie di variabili che tengono conto di fattori sociali, culturali e linguistici. In tal senso “bisogna tener conto del contesto in cui la pratica commerciale si inseriscenonché – dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato ai fini di detta pratica”.

Il livello di tutela “elevato” che la direttiva riserva ai consumatori, deve essere garantito dagli Stati membri che non possono quindi adottare misure più restrittive. Come avvenuto nel caso di specie, i Giudici nazionali devono assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme del diritto dell’Unione e garantirne la piena efficacia, così segnalando delle presunte violazioni del principio di leale collaborazione sancito all’articolo 4, § 3, co.2 TUE che impone agli Stati membri di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire la tutela prevista dalle norme comunitarie.

La quinta sezione della Corte ripercorre così i tratti salienti della vicenda danese, parametrandoli con le disposizioni della direttiva, e riconosce – anche sulla base dell’interpretazione del Giudice interno – le pratiche commerciali della Canal Digital come poste in violazione della particolare tutela che le norme comunitarie riservano ai consumatori.

Francesco Donnici

 

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