Il Codice Penale prevede una serie di delitti che si pongono a tutela del bene-interesse della “fede pubblica”, che ben può essere messo a repentaglio attraverso condotte finalizzate ad alterare materialmente o pregiudicare la genuinità e veridicità di determinati atti. Ma il “fotocopiare” questi ultimi assume sempre rilevanza penale? La risposta della Cassazione in ordine ad un caso di “riproduzione” di un permesso per invalidi.
Si fa sempre più corposa la giurisprudenza impegnata nella qualificazione della condotta consistente genericamente nel fotocopiare un determinato documento oppure nell’alterarne la copia.
La vicenda
Sia il Giudice monocratico di Milano che la Corte d’Appello meneghina riconoscevano la penale responsabilità dell’imputata, rea di aver fotocopiato un permesso per invalidi -che le era stato legittimamente rilasciato nel 2009- e di aver esposto tale fotocopia su di un veicolo noleggiato in occasione di un suo viaggio a Milano per motivi di lavoro. La condotta, ad avviso dei giudici di primo e di secondo grado, avrebbe infatti integrato gli estremi del reato di cui agli artt. 477-482 c.p.
Nel ricorso per Cassazione successivamente proposto dal difensore dell’imputata, si evidenziava specificamente la sussistenza di un errore interpretativo: la condotta tenuta materialmente non poteva rientrare nel concetto di “contraffazione”, visto che, da un lato, non si poteva riscontrare l’alterazione di un documento autentico nè la riproduzione di un documento non esistente (l’imputata, come già visto, era effettivamente e legittimamente titolare di un pass invalidi), mentre dall’altro lato la falsificazione era smentita dal mancato utilizzo della fotocopia contestata come atto originale.
La decisione della Corte: gli effetti dell’utilizzo di una fotocopia
La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (n. 18961/2017) condivide in pieno la tesi prospettata dalla ricorrente. La Suprema Corte non dimentica quanto già ribadito da quella specifica e precedente giurisprudenza consolidatasi proprio con riferimento al caso dell’utilizzo di fotocopia di un pass invalidi: “…se è vero che la fotocopiatura a colori del tutto simile all’originale può comportare il ricorrere di una falsificazione rilevante– si legge nella sentenza n° 18961- è altrettanto vero che, pur non costituendone il momento consumativo, l’utilizzo concreto della fotocopia non è del tutto irrilevante nella configurazione del reato de quo”.
La valutazione della Corte però si sofferma principalmente sulle circostanze del caso concreto. Le stesse infatti sembrano dimostrare ragionevolmente il motivo maggiormente verosimile che avrebbe spinto l’imputata alla riproduzione ed utilizzo della fotocopia di un documento (di cui comunque era legittima titolare, come già evidenziato), e cioè evitare, nel corso dei propri spostamenti, lo smarrimento del documento originale medesimo.
La Corte precisa che l’utilizzo dell’autorizzazione da parte della titolare, accertato dalla Polizia Municipale intervenuta mentre la ricorrente -attesa dal conducente ingaggiato a Milano sulla cui auto era esposta la fotocopia incriminata- si trovava impegnata per lavoro , “… qualifica nel senso preteso dalla ricorrente l’azione di fotocopiatura, non come abusiva moltiplicazione di autorizzazione amministrativa, ma come strumento per poter utilizzare tale autorizzazione nei limiti del provvedimento amministrativo, non parendo in contrasto con la funzione dell’atto la mera soluzione del problema di un eventuale smarrimento di un documento fondamentale in relazione alle limitazioni fisiche di cui soffriva la prevenuta e che ne avevano giustificato il rilascio”.
Una rilevanza sempre più ridotta
Gli interpreti del diritto sono da sempre impegnati nel definire nella maniera più precisa possibile i confini dell’operatività dei reati di falso. Questa attenzione ha portato ad esempio al riconoscimento di particolari figure, quali quelle del falso “grossolano”, falso “innocuo” e falso “inutile”, in ordine alle quali non è possibile ipotizzare, a causa di particolari condizioni ( a titolo indicativo si può ricordare la palese incapacità di indurre in errore), neppure un minimum di penale offensività.
Proprio l’utilizzo della fotocopia di un permesso per invalidi è stato in passato inquadrato secondo le figure sopra ricordate, qualora tale riproduzione non fosse apparsa come originale ripetendone le caratteristiche , come nel caso in cui si è in presenza di fotocopia in bianco e nero, in quanto tale non in grado di simulare l’originale ma capace ad esempio di attestare in tal modo l’insussistenza del dolo generico proprio del reato di uso di atto falso.
La sentenza in commento sembra tuttavia dimostrare che non solo le caratteristiche di una fotocopia, ma anche la condotta che abbia quest’ultima come oggetto materiale può escludere un addebito di responsabilità penale. E’ questo il caso della falsificazione della fotocopia:se, nell’intenzione dell’agente e nella valenza oggettiva, l’atto viene presentato come fotocopia (e non con l’apparenza di un documento originale, idoneo a trarre in inganno), deve escludersi il reato di falso
Antonio Cimminiello