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Dopo la svolta della Cassazione a chi spetta provare che l’ex economicamente più debole non trova lavoro?

Dopo la notissima sentenza – tempesta che da pochi giorni pare aver mutato i contenuti applicativi dell’assegno divorzile la Suprema Corte, con la sentenza n.11538/2017, è tornata sul tema.

La Corte rimane in linea con l’arresto di qualche giorno prima (Cass. 11504/2017) ove si rilevava che “la prima sezione civile ha superato il precedente consolidato orientamento, che collegava la misura dell’assegno al parametro del tenore di vita matrimoniale, indicando come parametro di spettanza dell’assegno, avente natura assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede“. Non appare superfluo ricordare che la Cassazione ha ritenuto il parametro del tenore di vita goduto durante il matrimonio come un orientamento non più “attuale”; e cioè, con la sentenza di divorzio “il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale“.

Pertanto, secondo i supremi giudici, va individuato un “parametro diverso” nel “raggiungimento dell’indipendenza economica” dell’ex coniuge che ha richiesto l’assegno divorzile: “Se è accertato che (il richiedente) è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto tale diritto”.

I principali indici che la Cassazione individua per valutare l’indipendenza economica di un ex coniuge sono il “possesso” di redditi e di patrimonio mobiliare e immobiliare, le “capacità e possibilità effettive” di lavoro personale e “la stabile disponibilità” di un’abitazione.

Sulla scorta di tali coraggiose affermazioni, che si scontrano con un orientamento trentennale, i giudici di legittimità esaminano – con l’ancor più recente sentenza in commento – la spinosa questione che riguarda l’ambito della prova dell’inesistenza assoluta di ogni possibilità di lavoro per il coniuge che richiede il versamento di un assegno di mantenimento.

Emerge con forza il punto di vista della Suprema Corte quando afferma che “non appare corretto interpretare la normativa vigente nel senso che la stessa esige sia fornita, dal richiedente l’attribuzione di un assegno divorzile, la ben difficile prova dell’inesistenza assoluta di ogni possibilità di lavoro”.

Dunque, vero è che l’assegno divorzile ha indubbiamente natura assistenziale e deve essere disposto in favore della parte istante la quale disponga di redditi insufficienti a condurre un’esistenza libera e dignitosa,  nella misura che permetta il raggiungimento dello scopo – senza provocare illegittime locupletazioni – .

Ma è anche vero che, se risulta da dati processuali incontestati che la ex coniuge non dispone di un impiego fisso, non risulta percepire un reddito regolare, e neppure beneficia dell’abitazione presso la casa coniugale – in posizione di netto contrasto con la situazione economica dell’ex marito – non può esserle negato l’assegno divorzile.

Virginia Dentici

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