Pensioni “discriminatorie” e ballerine in rivolta: al vaglio della Corte Ue la legge n. 64/2010
Allo stato attuale, quello delle pensioni è uno dei temi maggiormente in discussione, non solo nell’agenda politica ma anche nella società civile. Ma cosa succede se non viene rispettato il principio di parità di trattamento tra uomo e donna in materia di occupazione e di impiego?
Negli ultimi giorni, è in atto una rivolta. Questa è la storia di alcune ballerine licenziate, nel 2014, a 47 anni, per raggiunti limiti di età. Le danzatrici hanno fatto ricorso in Cassazione, ritenendo discriminatoria la legge n. 64/2010 che disciplina il riordino dei lavoratori dello spettacolo. Una legge che è stata presupposto dell’allontanamento delle artiste dal palco del Teatro dell’Opera di Roma.
Pensioni “discriminatorie” e ballerine in rivolta: i fatti
In pensione presto (ma nemmeno troppo), e soprattutto non obbligatoriamente cinque anni prima rispetto agli uomini: è questo il motivo del ricorso in Cassazione. Le ricorrenti sostengono che la l. n. 64/2010 determini una violazione del principio di parità di trattamento tra uomo e donna in materia di occupazione e di impiego.
Prima del 2010, per effetto del decreto legislativo 182/1997, le donne andavano in pensione a 47 anni, mentre gli uomini dovevano attendere i 52. Con il decreto legge 64/2010, il requisito è stato unificato a 45 anni per entrambi i sessi.
Il decreto introduce, inoltre, un periodo transitorio di due anni in cui, facendo esplicita richiesta, i danzatori e le danzatrici avrebbero potuto prolungare l’attività, pur senza superare i limiti precedenti, cioè 47 e 52 anni. Obiettivo della disposizione sarebbe quello di agevolare tutti quegli artisti che già avevano raggiunto o superato la nuova soglia di pensionamento.
Con l’ordinanza interlocutoria n. 6101/2017, la Corte Suprema ha ritenuto di sollevare questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea sull’interpretazione del principio di non discriminazione in base al sesso, così come espresso dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché dalla direttiva 2006/54/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio.
L’esame da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea non riguarda la differenza di requisiti che è rimasta in vigore dal 1997 al 2010, ma solo l’articolo 3, comma 7 del Dl 64/2010 che ha prolungato il disallineamento per due anni. Le norme sono ora al vaglio della Corte europea di Lussemburgo.
Eloisa Zerilli