Oltre al danno la beffa! Questo deve aver pensato una donna che si è vista respingere, dalla Corte di Cassazione, il ricorso presentato per ottenere un risarcimento per la presunta perdita della propria vita sessuale.
Pregiudizio alla vita sessuale: il fatto
Procediamo con ordine: nel 2003 la ricorrente e il marito sono gli sfortunati protagonisti di un sinistro stradale, a seguito del quale convengono il responsabile dinanzi al Tribunale di Milano, chiedendo ed ottenendo il pagamento dei danni patiti.
Tuttavia il giudice, nell’accogliere la domanda, ridimensiona le pretese dei coniugi, fatto, questo, che induce la coppia ad impugnare il provvedimento davanti alla Corte d’Appello.
L’elemento della discordia sarebbe proprio il mancato riconoscimento del pregiudizio alla vita sessuale, conseguente alle gravi lesioni riportate dall’uomo nell’incidente.
Anche nel secondo grado di giudizio, però, i coniugi non ottengono quanto sperato.
Il rigetto del ricorso viene motivato mettendo in risalto tanto la mancata formulazione, ad opera della coppia, della specifica richiesta nell’atto di citazione, quanto il fatto che dall’istruttoria fosse emersa “solo” una parziale riduzione della capacità sessuale dell’uomo.
Pregiudizio alla vita sessuale: la pronuncia della Cassazione
La ricostruzione degli accadimenti ci riporta al punto d’origine, ossia alla pronuncia del Tribunale Supremo sull’infondatezza del ricorso.
Se è vero che non si richiede l’adozione di formule letterali specifiche quando si deve indicare il pregiudizio sofferto, né classificarlo in categorie giuridiche improponibili, è altrettanto innegabile, fa notare la Cassazione, che si debba esporre in fatto in cosa sia consistito il danno subito.
Il mancato riferimento, nell’atto introduttivo di primo grado, alla preclusione ad una vita sessuale regolare rende perciò impossibile soddisfare il requisito della corretta indicazione dei fatti costitutivi la domanda di risarcimento.
Non è sufficiente, a tal fine, il richiamo al danno alla vita di relazione ed esistenziale paventato dai coniugi, sia per la generalità dell’espressione impiegata sia perché non è dimostrabile un reale nesso con la vita sessuale, ben potendo esistere una danno alla vita di relazione senza che ciò abbia conseguenze necessarie anche sulla sfera intima.
Tale orientamento appare consolidato nella giurisprudenza, come confermano i richiami opportunamente operati alle sentenze n° 21245 del 29/11/2012 e n° 13328 del 30/06/2015, pronunciate dalla stessa Cassazione.
In esse si rimarca la necessità di una descrizione chiara del pregiudizio di cui si chiede un ristoro e l’inutilità dell’utilizzo di espressioni troppo generiche (ad esempio “danni subiti e subendi”), non potendosi ammettere che i fatti, oggetto della domanda risarcitoria, vengano esplicati solo in un secondo momento, ossia durante il processo.
Pregiudizio alla vita sessuale: oltre al danno la beffa
La mancanza di chiarezza è stata, pertanto, un errore determinante per i coniugi, i quali dovranno convivere con un problema invalidante la serenità di coppia, senza aver avuto la possibilità di vedersi riconosciuto quantomeno un indennizzo ad esso correlato.
Vittorio Sergio