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Prete pedofilo, scatta l’aggravante dell’abuso di potere

Prete pedofilo, scatta l’aggravante dell’abuso di potere. Cass. Pen. 1949/2017

Con la recente sentenza in commento, Cass. Pen. N. 1949/2017, la Suprema Corte si è pronunciata in ordine alle condizioni per l’applicabilità dell’aggravante dell’abuso di potere prevista dall’art. 61, n. 9., c.p. ad un sacerdote resosi colpevole di diversi episodi di violenza sessuale a danno di minori.

La predetta circostanza sussiste, precisamente, quando il fatto è stato commesso “con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto”. Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione gli episodi erano intervenuti in occasione di un gioco di lotta, e proprio tale circostanza, unitamente al contesto asseritamente attinente a rapporti esclusivamente interpersonali con una delle vittime, era stata valorizzata in ricorso dal sacerdote, che riteneva insussistente l’aggravante per l’assenza di connessioni dirette con l’esercizio delle sue funzioni di ministro.

La Cassazione, tuttavia, esclusa la rilettura in sede di legittimità dei fatti risultanti dal processo atteso che l’iter argomentativo e decisionale della Corte territoriale risulta contestualizzato e coerente, nonché rispettoso della giurisprudenza della stessa S.C. in punto di valutazione di attendibilità delle persone offese, ha rigettato o ritenuto assorbiti tutti i motivi di ricorso di rito e di merito avanzati dal sacerdote.

In ordine alla contestata aggravante dell’abuso di potere di cui si è detto, in particolare, la Corte ha ritenuto correttamente motivati la strumentalizzazione delle funzioni di ministro del culto dell’imputato e il cosciente approfittamento della fiducia che i giovani conosciuti in parrocchia avevano riposto in lui già emersi nei giudizi di merito.

Inoltre, già con la sentenza n. 9334/1988 (i cui principi sono poi stati ribaditi dalla sentenza n. 37068/009 proprio nell’ambito dei reati sessuali), la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che “in tema di aggravante dell’abuso dei poteri o della violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro di un culto, non è necessario che il reato sia commesso nella sfera tipica e ristretta delle funzioni e dei servizi propri del ministero sacerdotale, ma è sufficiente che a facilitarlo siano serviti l’autorità ed il prestigio che la qualità sacerdotale, di per sé, conferisce, e che vi sia stata violazione dei doveri anche generici nascenti da tale qualità”.

Va difatti considerato, afferma la Cassazione, che, considerata anche la dottrina cattolica contemporanea, il ministero sacerdotale non si estrinseca solo nell’ambito delle funzioni strettamente connesse alla realtà parrocchiale, ma esso è comunque comprensivo di tutti quei compiti riconducibili al mandato evangelico costitutivo dell’ordine sacerdotale. Sono quindi ricomprese, per esempio, anche le attività svolte a servizio della comunità, quelle ricreative, di assistenza, di missione, di aiuto psicologico ai fedeli, “ivi comprese le relazioni interpersonali che il sacerdote intraprenda in occasione dello svolgimento di tali attività”.

Nel caso di specie, tutti i fatti contestati al sacerdote erano stati commessi – diversamente da quanto asserito dallo stesso – in contesti valutati come strettamente correlati “all’attività di guida spirituale, coadiutore di oratorio ed animatore di comunità religiose, nonché promotore di associazionismo sociale a matrice cattolica”: la Corte ha pertanto rigettato il ricorso, e ha confermato la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 9, c.p. a carico del sacerdote condannato.

Davide Baraglia

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