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I provvedimenti impugnabili dall’amministratore senza autorizzazione assembleare

La P.a. può determinarsi con atti e provvedimenti aventi efficacia sul bene in comune di un condominio.
Se volti a conservare l’esistenza delle parti comuni dell’edificio, l’amministratore di condominio è legittimato ad agire in giudizio e non necessita né di una preventiva autorizzazione assembleare, né della successiva ratifica del suo operato.

LA LEGITTIMAZIONE AD IMPUGNARE DELL’AMMINISTRAZIONE DI CONDOMINIO IN ASSENZA DI AUTORIZZAZIONE O RATIFICA ASSEMBLEARE

Il Consiglio di Stato, giusta sentenza 27 gennaio 2017, n. 353 ha statuito sulla questione controversa.
Invero, non occorrerebbe sempre un’autorizzazione dell’assemblea condominiale per fondare la legittimazione di un amministratore.
In primo grado un amministratore condominiale, infatti, ha proposto ricorso avverso un provvedimento dell’Amministrazione Comunale che aveva valutato un intervento edilizio.
Qualificato come attività di edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1 del d.p.r. n. 380 del 2001, esso non avrebbe necessitato di titolo autorizzativo.
La proposizione del ricorso era avvenuta in assenza di una preventiva autorizzazione dell’organo assembleare.
Il Supremo Consenso Amministrativo, rifacendosi ad un orientamento giurisprudenziale ha avallato la legittimazione processuale dell’amministratore di condominio (Cass. civ. n. 10865/2016).
Nei giudizi concerneti atti di natura conservativa, egli è legittimato ad agire, senza necessità di autorizzazione dell’assemblea.
Il fine è quello di conservare l’uso di un bene comune conforme alla sua funzione e originaria destinazione (cfr. Cons Stato n. 81/2016).

L’ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE SUI POTERI DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO

In base al disposto dell’art. 1130 c.c., l’amministratore di condominio non ha autonomi poteri.
Egli si limita ad eseguire le deliberazioni dell’assemblea ovvero a compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.
L’orientamento giurisprudenziale consolidato in materia di azioni processuali, è nel senso che il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all’assemblea.
Essa deve deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente (cfr. Cass., SS.UU., 18331/2010).
Un tale potere decisionale non potrebbe competere in via autonoma all’amministratore.
Tale soggetto, per sua natura, non è un organo decisionale ma meramente esecutivo del condominio.
In effetti, l’attribuzione di tale potere potrebbe portare a conseguenze paradossali.
In primo luogo un ingiustificato contenimento dei poteri consensuali dell’assemblea.
In caso di soccombenza, far sì che il condominio sia tenuto a pagare le spese processuali, senza aver in alcun modo assunto decisioni al riguardo.

IL RAPPORTO TRA AMMINISTRATORE ED ASSEMBLEA CONDOMINIALE NELLA REALIZZAZIONE DI “INNOVAZIONI”

Nel caso di specie, i lavori erano volti ad eliminare barriere architettoniche e non avrebbero comportato alterazione della sagoma dell’edificio.
Il titolo abilitativo non era necessario, in virtù dell’art. 78, comma 2, T.U.E., riproduttivo dell’art. 2 della legge n. 13 del 1989.
Pur in assenza del nulla osta del condominio, le opere potevano essere realizzate con spese a carico dell’interessato.
Le innovazioni, infatti, non necessitano della approvazione dell’organo assembleare ai sensi dell’art. 1120.
La norma sancisce per i condomini la possibilità di disporle a maggioranza.
Esse, tuttavia, devono essere «dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni».
Fra i compiti dell’amministratore vi è quello di eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini.
Ai sensi dell’art. 1130 c.c. egli è tenuto a disciplinare l’uso delle cose comuni, compiendo «gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio».

Iacopo Correa

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