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Pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio? La vicenda dell’amministratore “fortunato”

Assolto per prescrizione l’ex amministratore delegato di una società di gestione di tratti autostradali al quale era stato contestato il reato di corruzione (Cass. Pen. 15482/2017).

Secondo l’accusa, infatti, l’uomo, in cambio di tangenti, avrebbe favorito alcune imprese nell’ottenere appalti e incarichi di consulenza. La difesa dell’uomo aveva contestato la qualifica pubblicistica che, sia in primo grado, sia in appello, era stata riconosciuta all’amministratore delegato.

Qualifica di pubblico ufficiale: la parola ai Giudici

Notevoli gli spunti di riflessione offerti dalla sentenza Cass. Pen. 15482/2017, sul discrimine tra pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio.
I Giudici chiariscono che sulla base degli artt. 357 e 358 cod. pen., le qualifiche di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio sono collegate alle attività svolte. L’elemento che le differenzia è costituito dal fatto che il pubblico ufficiale è dotato di poteri deliberativi, autoritativi o certificativi, mentre l’incaricato di pubblico servizio difetta di tali poteri, nonostante la sua attività sia comunque riferibile alla sfera pubblica: in altri termini, è la tipicità dei poteri elencati nell’art. 357 cod. pen. che fonda la differenza.
Si evidenzia come la giurisprudenza abbia già da tempo cercato di chiarire questo discrimine tramite l’individuazione di indici sintomatici del carattere pubblicistico dell’attività svolta, facendo riferimento alla natura pubblica dell’ente da cui promana l’attività del soggetto, al perseguimento di finalità pubbliche, all’impiego di pubblico denaro, alla soggezione a controlli pubblici, in ogni caso escludendo, tra i criteri idonei a qualificare come di rilievo pubblico l’attività svolta, la forma giuridica dell’ente e la sua costituzione secondo le norme del diritto pubblico.
Sulla base di ciò, precedenti giurisprudenziali hanno riconosciuto la qualifica di incaricato di pubblico servizio anche al dipendente di una società privata che esercitava un servizio pubblico.
Per quanto concerne il settore delle privatizzazioni, il giudice penale in alcuni casi ha esteso lo statuto penale dei pubblici agenti o degli incaricati di pubblico servizio nei confronti di soggetti operanti negli enti privatizzati, riconoscendo che la trasformazione dell’ente pubblico in società per azioni non cancella di per sé le connotazioni proprie della originaria natura pubblica dell’ente, in ogni caso ribadendo che i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici (cfr., Sez. 5, n. 23465 del 26/04/2005, Laghi; Sez. 6, n. 49759 del 27/11/2012, Zabatta; Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi; Sez. 5, n. 31660 del 13/02/2015, Barone).
I giudici della Suprema Corte hanno evidenziato come le condotte contestate all’imputato si inserissero nell’ambito delle attività di affidamento di lavori a società esterne, palesando l’esplicazione del servizio pubblico prestato. Infatti, alla Società delle Autostrade è stata affidata la gestione di un servizio pubblico in un settore di particolare rilievo strategico come quello dei trasporti, attività che comunque svolge sotto il controllo e la vigilanza del Ministero competente. Sulla base di ciò la Corte ha ritenuto di riconoscere all’imputato la qualifica di incaricato di pubblico servizio, ma non quella di pubblico ufficiale (difettando di poteri deliberativi, autoritativi e certificativi), ritenendo corretta la contestazione del reato di corruzione propria (art. 319 c.p.).

La giustizia ha un “tempo”?

Relativamente ai reati ascritti all’uomo, in sentenza si legge: “ha reiteratamente violato i principi di imparzialità e di concorrenza contenuti nelle disposizioni di legge, in cambio della corresponsione di tangenti, in tal modo svendendo la sua “funzione” in relazione al servizio pubblico che gli era stato assegnato. In questo senso appare corretta la decisione dei giudici che hanno ritenuto sussistente la corruzione propria, in quanto l’indebito mercimonio della funzione pubblica ha avuto ad oggetto un comportamento di favore per il privato, che si è estrinsecato in una serie di atti specifici contrari ai doveri d’ufficio, previsti anche da disposizioni di legge”.
Tuttavia, l’uomo è stato “graziato” dal “tempo” e la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna, per intervenuta estinzione dei reati per prescrizione.

Domenica Maria Formica

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