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Se il quadro clinico è ambiguo nessuna responsabilità per i medici

 Se il quadro clinico è ambiguo nessuna responsabilità per i medici

Operare o non operare? Dubbi amletici che interessano molte volte l’attività dei chirurghi e la cui risposta non è sempre facile dare. Ma questa volta i medici hanno deciso di optare per la prima via, “operiamo!”.

Le incertezze al riguardo derivavano, in particolare, dall’aver individuato nel paziente già in sede di pronto soccorso, una non ben chiara massa voluminosa nella parte addominale del paziente la quale, nonostante gli esami compiuti durante la degenza di quest’ultimo nel reparto di chirurgia d’urgenza, non riusciva ad essere identificata con assoluta certezza da parte dei sanitari.

Da qui l’intervento dei medici, i cui dubbi vennero sciolti solo all’esito di un’operazione chirurgica fortemente invasiva (la cicatrice xilo pubica di 35 cm ne è la prova) e dalla quale emerse l’inesistenza di alcuna massa tumorale.

Segue un processo penale per colpa medica il cui oggetto principale consisteva nell’accertare se una diagnosi così equivoca e incerta giustificasse un simile intervento.

I diversi esiti processuali di primo e secondo grado nei quali l’equipe medica fu prima condannata per “eccesso di cure”, poi assolta per l’impossibilità di accertamento in vista dell’eventuale urgenza paventata dai medici, condussero la questione sui tavoli della Corte di Cassazione la quale con sentenza n. 29053/2017 confermando la decisione dei giudici di appello sollevava da ogni responsabilità penale i chirurghi.

In particolare, della sentenza della Corte di Appello veniva contestata la sua illogicità e contraddittorietà attesi gli esiti della perizia eseguita in primo grado nella quale si rilevava l’omissione di ulteriori e più specifici accertamenti diagnostici in considerazione della ambiguità del quadro clinico sino ad allora esaminato.

I giudici della Suprema Corte, ciononostante, hanno ritenuto infondati i motivi del gravame ritenendo che il ragionamento operato dai giudici di appello era esente da vizi. Invero, la complessità dell’accertamento e il non dirimente esito degli esami effettuati durante la degenza del paziente non potevano chiarire il siffatto quadro diagnostico se non dopo l’intervento, realizzato, peraltro, nell’urgenza di una paventata e non esclusa neoplasia. Ne discende, in tal senso, che alcuna ipotesi di imperizia poteva essere dunque contestata all’equipe medica operante.

Corretta deve pertanto ritenersi la decisione di secondo grado avendo quest’ultima dato conto in modo logico e congruo delle risultanze degli esami effettuati e dell’ambiguità del quadro clinico in oggetto esimendo con chiara argomentazione i medici da una possibile responsabilità per colpa da imperizia.

L’ars medica, come ben risulta da questa decisione, si rivela come sempre uno dei maggiori terreni in cui ambiguità delle diagnosi e opportunità d’intervento risultano fortemente contestabili. L’urgenza e la delicatezza di certe scelte possono, naturalmente, condurre anche a rinvenire falsi allarmi, ma di fronte a simili contesti l’unica cosa che può auspicarsi è solo un continuo e sempre migliore avanzamento delle tecniche dell’arte così da evitare, per il futuro, interventi inutili od omissioni colpevoli.

Antonio Colantoni

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