Con una recentissima sentenza, il Tar Lazio Roma, Sez. II bis, 14.02.2017, n. 2389, torna ad affrontare alcuni temi caldi in materia di appalti pubblici.
Nei fatti, la cui narrazione è necessaria per meglio comprendere la portata della pronuncia, accadeva che un raggruppamento temporaneo di imprese si aggiudicava l’affidamento di un servizio bandito con procedura negoziata nella vigenza del codice del 2006.
Per colmare taluni requisiti di cui non era in possesso, il RTI aggiudicatario chiedeva di autorizzare il ricorso al subappalto, in conformità a quanto previsto dal disciplinare di gara, ai sensi dell’art. 118 del d.lgs. n. 163/2006.
Seguiva il diniego dell’autorizzazione da parte del Gestore a parere del quale, in seguito agli accertamenti e alle verifiche di cui all’articolo 38 del Codice previgente, “sono stati rilevati alcuni reati in capo ad alcuni componenti dell’impresa in questione la cui gravità è tale da ritenersi ostativa alla richiesta autorizzazione”, provvedimento che veniva prontamente impugnato innanzi al Tar direttamente dal subappaltatore.
In primo luogo, il Collegio capitolino prende in esame la questione relativa alla sussistenza o meno dell’interesse del subappaltatore a impugnare il diniego di autorizzazione al subappalto affermando a chiare lettere che l’impresa indicata dall’aggiudicataria di un appalto pubblico come candidata alla qualità di subappaltatore è legittimata ad impugnare il diniego opposto dalla P.A. all’autorizzazione a subappaltare alcune lavorazioni oggetto del contratto, e ciò nonostante la relativa istanza sia stata proposta dall’aggiudicataria.
Nel merito della vicenda, il Tar, prendendo in esame la normativa previgente, annulla il provvedimento di diniego di autorizzazione al subappalto ribadendo che un concorrente deve essere escluso dalla gara e l’affidamento non può essere dato in subappalto quando:
– vi è una sentenza di condanna passata in giudicato e
– la condanna è stata pronunciata nei confronti dell’amministratore munito di poteri di rappresentanza, nel caso di società di capitali, del direttore tecnico, socio unico persona fisica, socio di maggioranza nel caso di società con meno di quattro soci.
Continua la pronuncia in rassegna con l’affermare che la stazione appaltante può e deve escludere AUTOMATICAMENTE, quindi senza dover provvedere alla valutazione discrezionale in merito alla gravità dei reati e all’incidenza sulla moralità professionale, esclusivamente quando la condanna ha ad oggetto reati di partecipazione ad un’organizzazione criminale, frode o riciclaggio.
Fuori da questi casi, la sussistenza di reati incidenti sulla moralità professionale non autorizza la stazione appaltante a escludere. Al contrario, la P.A. è tenuta a valutare concretamente la gravità dei reati e a fornire adeguata motivazione se ritiene di procedere con l’esclusione.
Sulla scorta di tali ragioni, il provvedimento di diniego impugnato è stato annullato poiché, da un lato, è carente di motivazione circa le ragioni per cui determinati precedenti penali rivestirebbero i caratteri di gravità e incidenza sulla moralità professionale e, da altro lato, avrebbe errato nel qualificare il soggetto cui sono ascritti i reati quale socio di maggioranza della società subappaltatrice il quale, invece, detiene solo l’1% della stessa.
Rosamaria Berloco