La corretta individuazione degli elementi costitutivi di un reato, nonché la determinazione dei contorni giuridici della relativa fattispecie, rappresentano il complesso labirinto all’interno del quale accusa e difesa muovono le rispettive pedine e dal quale la giurisprudenza è chiamata a tracciare una via d’uscita.
La materia si fa tanto più complessa quando entrano in gioco il reato proprio, ovvero quel reato che richiede in capo all’autore il possesso di ben precisate qualità e che pertanto non può essere commesso da chiunque, e il dolo specifico, ossia la finalità ulteriore verso la quale deve tendere la condotta dell’agente affinché si configuri l’ipotesi delittuosa.
Reato di frode in processo penale e depistaggio: il caso
Nella vicenda decisa dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 24557 del 2017 le ricorrenti hanno impugnato un’ordinanza del Tribunale di Napoli, contenente provvedimenti cautelari a loro carico, adottata in relazione alla contestazione del reato di cui all’art. 375 cod. pen., così come sostituito dalla legge 11 luglio 2016 n°133, e del concorso morale in esso.
La norma richiamata illustra l’ipotesi della frode in processo penale e depistaggio, la quale si configura allorché un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, al fine di ostacolare un’indagine o un processo penale, modifichi volutamente il corpo del reato o alteri lo stato dei luoghi ad esso connessi, ovvero affermi il falso all’autorità giudiziaria o alla polizia che richiedano informazioni in un procedimento penale.
Reato di frode in processo penale e depistaggio: le obiezioni della difesa
L’appunto della difesa si è focalizzato soprattutto sulla presunta erronea qualificazione di quanto addebitato: l’istigazione di colleghi a riferire dichiarazioni mendaci volte a favorire una delle ricorrenti in un procedimento penale riguardante vicende squisitamente personali non potrebbe mai configurare il reato di cui all’art. 375 cod. pen.
A supporto di tale assunto vi sarebbe l’impossibilità di configurare un nesso tra la qualifica di pubblico ufficiale, elemento essenziale e caratterizzante il reato proprio, e il concreto svolgimento di funzioni che siffatto incarico richiede e che nulla avrebbe a che vedere con l’attività posta in essere dai soggetti istigati nel caso in questione.
L’intento del legislatore non sarebbe stato, a parer della difesa, quello di estendere il campo di applicabilità della norma, facendovi rientrare attività private, sia pur consumate da persone che rivestano la qualifica di pubblico ufficiale.
Reato di frode in processo penale e depistaggio: la Cassazione ribalta la decisione del Tribunale di Napoli
La Cassazione, annullando i provvedimenti cautelari precedentemente adottati, ha accolto le censure mosse dalla difesa in merito all’assenza di elementi indiziari concreti inerenti il reato contestato.
Determinante, a tal fine, è stata la considerazione sulla totale accidentalità della qualifica di pubblico ufficiale rispetto all’oggetto dell’indagine: una delle ricorrenti aveva, sì, riferito fatti colti presso gli uffici comunali, dove ella si trovava per svolgere il suo lavoro, ma quest’ultimo non presentava alcun collegamento con gli interessi dei protagonisti della vicenda.
Un’ulteriore conferma di tale interpretazione andrebbe ricercata, secondo la Cassazione, nella presenza del dolo specifico quale elemento caratterizzante il reato contestato: la prevalente necessità di sviare un’indagine non potrebbe, infatti, non essere connessa agli specifici compiti inerenti allo svolgimento dell’attività di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.
La mancanza di siffatto elemento psicologico, d’altronde, svuoterebbe di significato l’art. 375 cod. pen. e renderebbe il reato in esso contenuto indistinguibile da quelli di frode processuale o false informazioni al P.M., per i quali esso non è previsto.
Reato di frode in processo penale e depistaggio: il principio di diritto previsto dalla Suprema Corte
Ciò ha indotto la Cassazione a sancire un importante principio di diritto: “L’art. 375 cod. pen. si configura come reato proprio dell’attività del pubblico ufficiale, o dell’incaricato del pubblico servizio, la cui qualifica preesista alle indagini e sia in rapporto di connessione funzionale con l’accertamento che si assume inquinato, cosicché la condotta illecita deve risultare finalizzata proprio all’alterazione dei dati che compongono l’indagine o il processo penale, che gli è stato demandato di acquisire o dei quali sia venuto a conoscenza nell’esercizio della sua funzione, e risulti quindi posto in condizione di spiegare il proprio intervento inquinante“.