Non sono retroattivi i termini stabiliti dalla legge n.18 del 2015 in ordine all’azione per ottenere un risarcimento danni da responsabilità civile dei magistrati. Questo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 258 del 10 Gennaio
Risarcimento danni da malagiustizia
Summum ius, summa iniuria, diceva Cicerone. Davvero quindi la giustizia può trasformarsi in ingiustizia? Cosa succede quando si diventa vittime di malagiustizia? La legge 117 del 1988, c.d. legge Vassalli, stabilisce che chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia, può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali.
In questa materia, il legislatore italiano, a seguito di una procedura di infrazione, conclusasi con una sentenza di condanna per l’Italia da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, è intervenuto con l’approvazione della legge 18 del 2015. Tale legge ha apportato alcune modifiche alla legge Vassalli, tra queste modifiche ritroviamo anche i termini per poter esperire l’azione di risarcimento danni.
La domanda di risarcimento: termini e modalità
L’art. 4 della legge 117 del 1988 stabilisce che l’azione di risarcimento del danno contro lo Stato deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, quindi non nei confronti del singolo magistrato.
Competente a conoscere della controversia è il tribunale del capoluogo del distretto della Corte d’Appello, individuato ai sensi dell’art. 11 del Codice di Procedura Penale e dell’art. 1 delle Disposizioni Attuative dello steso c.p.p.
Condizione per poter esercitare l’azione, è l’aver già esperito mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque l’impossibilità di modifica o revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, che sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno.
Originariamente la legge Vassalli prevedeva un termine di due anni per poter esercitare l’azione a pena di decadenza, adesso, con le novella del 2015, la domanda deve essere proposta a pena di decadenza entro tre anni
che decorrono dal momento in cui l’azione è esperibile.
L’azione può essere esercitata decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno se in tal termine non si è concluso il grado del procedimento nell’ambito del quale il fatto stesso si è verificato.
Nei casi previsti dall’articolo 3 (diniego di giustizia) l’azione deve essere promossa entro tre anni dalla scadenza del termine entro il quale il magistrato avrebbe dovuto provvedere sull’istanza.
In nessun caso il termine decorre nei confronti della parte che, a causa del segreto istruttorio, non abbia avuto conoscenza del fatto.
I termini decadenziali hanno efficacia retroattiva?
La risposta, di segno negativo, è stata fornita dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 258 del 10 gennaio 2017.
La vicenda prende le mosse da una richiesta di risarcimento danni nei confronti dello Stato, avanzata con citazione nel dicembre del 2012, danni subiti per effetto dell’ ordinanza della Cassazione risalente al 2009, in base alla quale era stata respinta, in utlimo grado, la domanda di conversione a tempo indeterminato di un contratto di formazione e lavoro con una azienda di autotrasporti.
Tale richiesta viene giudicata, dal Tribunale di Roma, inammissibile in quanto tardiva. Il giudizio viene confermato con decreto dalla Corte d’Appello, avverso tale decreto viene quindi proposto ricorso in Cassazione, rigettato con la sentenza in esame.
La Cassazione quindi conferma il principio di diritto in base al quale «in tema di responsabilità civile dei magistrati, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (nella versione applicabile a tutte le fattispecie anteriori al 19 marzo 2015 e, cioè, all’entrata in vigore della legge 27 febbraio 2015, n. 18), l’azione di risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie è tardiva se proposta decorsi i due anni dalla data della sentenza di Cassazione».
Le motivazioni della Corte
Nel motivare l’inapplicabilità della normativa sopravvenuta -legge 18 del 2015 che modifica il termine decadenziale portandolo a tre anni- ai giudizi, come quello in esame, introdotti prima del 19 marzo 2015, la Cassazione rimanda alla sentenza, della stessa Corte, n. 25216 del 15 dicembre 2015 .
Tale sentenza stabilisce che in tema di responsabilità civile del magistrati, la sopravvenuta abrogazione della disposizione di cui all’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117, per effetto dell’art. 3, comma 2, della legge 27 febbraio 2015, n. 18, non esplica efficacia retroattiva, onde l’ammissibilità della domanda di risarcimento del danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie deve essere delibata alla stregua delle disposizioni processuali vigenti al momento della sua proposizione.
La norma in questione, prevedendo un termine decadenziale per la proposizione dell’azione, è una norma di natura strettamente processuale. Il carattere processuale della normativa abrogata e di quella sopravvenuta non comporta l’applicabilità immediata di quest’ultima ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 18 del 2015, vale a dire ai giudizi introdotti con ricorso depositato prima del 19 marzo 2015.
Questo accade in virtù dell’applicazione del principio tempus regit actum. Esso trova fondamento nell’art.11 delle disposizioni preliminari al codice civile e comporta che gli atti del processo traggano validità ed efficacia dalla legge vigente al tempo in cui sono compiuti. Specifica quindi la Corte che «da tale principio derivano due conseguenze in caso di successione di norme processuali nel tempo: a) applicazione immediata della nuova regola ai processi pendenti con riguardo a tutti gli atti ancora da compiere; b) conservazione della validità e dell’efficacia degli atti compiuti nel vigore della regola abrogata».
Termini decadenziali: nessun contrasto con il diritto dell’Unione
Nessun contrasto con i principi e le normative europee per quanto attiene il termine decadenziale di due anni (vecchia formulazione della legge Vassalli) e, a maggior ragione, nemmeno per la formulazione attuale che prevede un innalzamento del termine a tre anni.
La Corte, con la sentenza 258/2017, ha chiarito che, collocandosi il termine dopo l’esperimento di tutti i mezzi di impugnazione «assicura un periodo di tempo più che ragionevole e sufficiente per valutare la sussistenza dei presupposti della responsabilità nel caso concreto e per approntare adeguatamente l’azione e la difesa in giudizio». Tale considerazione poi, prende ancor più corpo, alla luce della disciplina amministrativistica interna che prevede termini ben più brevi.
Nessuna frizione nemmeno col principio di equivalenza, visto che il limite si applica ai risarcimenti per danni provocati da decisioni giudiziarie in contrasto sia con l’ordinamento interno che con l’ordinamento dell’Unione.
Maria Rosaria Pensabene