Che fare se l’uomo scappa e non vuole sottoporsi al test del DNA? Sul punto si è recentemente espressa la Suprema Corte di Cassazione; vediamo nel dettaglio
L’amour, ciò che lega le relazioni tra gli esseri umani. E quale miglior espressione ne è l’arrivo dei figli? Il problema si pone, però, quando non c’è certezza sulla paternità della prole.
Ci viene in aiuto, in questo caso, il test del DNA.
Ma cosa accade se il probabile genitore si rifiuta di sottoporsi a tale esame? In merito è stata chiamata ad esprimersi la Suprema Corte di Cassazione.
Riconoscimento della paternità: il caso
La Corte si è trovata alle prese con una situazione piuttosto singolare: una madre, due gemelli e due presunti padri.
Tutto è cominciato quando il Tribunale di Ferrara accoglieva, nel marzo 2010, il ricorso di uno dei due padri, che contestava il difetto di veridicità in merito alle modalità di riconoscimento poste in essere dall’altro padre contendente.
Tale decisione si fondava sul fatto che, fermo restando la validità del brocardo latino secondo cui “mater semper certa est”, il riconoscimento di paternità era avvenuto quando la donna era già diversi mesi avanti con la gravidanza e nel frattempo aveva iniziato una relazione con altro uomo.
Non convinta della decisione emessa dal giudice di prime cure, la madre proponeva ricorso dinnanzi alla Corte d’Appello di Bologna, che lo accoglieva ritenendo che non può attribuirsi valore probatorio al risultato dell’esame di laboratorio eseguito nell’interesse del ricorrente in assenza del rispetto di qualsiasi garanzia di veridicità e del principio del contraddittorio.
La Corte d’Appello territoriale, proseguiva argomentando la propria decisione che la circostanza stessa del prelievo dei campioni sui minori da parte della madre, per consegnarli al ricorrente, all’insaputa dell’altro candidato alla paternità, dimostrava che la madre evidentemente aveva dei dubbi sulla effettiva paternità dei minori.
Di qui la decisione di ricorrere a campioni biologici prelevati dai gemelli, sottoposti a una consulenza genetica che aveva riconosciuto la sua paternità biologica.
Sulla decisione il ricorrente, convinto delle proprie ragioni, proponeva ricorso dinnanzi alla Corte di Cassazione.
Riconoscimento della paternità: la decisione della Cassazione
La prima sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18626 depositata il 27.07.2017, ha accolto il ricorso mantenendo la linea della Corte d’Appello territoriale.
Secondo i Supremi giudici, in violazione degli artt. 263 e 2729, c.c., 115 e 116 c.p.c., la Corte felsinea avrebbe disatteso il principio secondo cui, in materia di accertamenti afferenti alla paternità ed alla validità dei correlati atti dichiarativi, il rifiuto di consentire il compimento dell’esame biologico è sufficiente ad integrare la prova in ordine alla sussistenza ovvero all’insussistenza del rapporto parentale, dichiarava il ricorso fondato.
La motivazione della prima sezione civile, prende le mosse da precedenti sentenze già emesse dalla Corte stessa la quale si era espressa sancendo che «nell’attuale contesto socio-culturale caratterizzato da ampie possibilità di accertamento del patrimonio bio-genetico dell’individuo, pensare di “segregare” l’atto negoziale di accertamento della paternità, escludendo il contro interessato dal fornire la prova del suo difetto di veridicità significa, ignorando il livello attuale delle cognizioni scientifiche e delle potenzialità di indagine, consentire ogni forma di abuso del diritto e, quindi, di adozione mascherata e fraudolenta del minore, non tollerabile in una società civile e trasparente (Cass., 26 marzo 2015, n. 6136)», dando rilevanza al rifiuto di sottoporsi al predetto esame, pur richiedendosi l’acquisizione di congrua documentazione, ovvero di un’adeguata istruttoria testimoniale.
Pertanto, prosegue la Cassazione, «con riferimento al procedimento relativo all’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, è stato ribadito il carattere “decisivo” della consulenza tecnica d’ufficio ematologica, o genetica (Cass., 13 novembre 2015, n. 23290), tanto “da rendere comportamento processuale dotato di pregnante rilevanza il suo ingiustificato rifiuto” (Cass., 25 marzo 2015, n. 6025; Cass., 21 maggio 2014, n. 11223)».
Sulla base di tale principio, i giudici di piazza Cavour, rinviavano la questione alla Corte d’Appello territoriale sancendo che i giudici, in nuova composizione, dovranno decidere secondo il seguente principio di diritto: «Nel giudizio di impugnazione del riconoscimento di figli nati fuori dal matrimonio per difetto di veridicità, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi a esame genetico, in presenza di una situazione di incertezza, sul piano probatorio, circa la sussistenza o meno del rapporto di filiazione biologica fra l’autore del riconoscimento ed il figlio, deve essere valutato dal giudice, ai sensi del comma 2 dell’articolo 116 c.p.c., come decisiva fonte di convincimento».
Cari lettori, al detto “la mamma è sempre certa”, può aggiungersi che al papà ci si arriva; pertanto, cari papà, dalle vostre responsabilità non avrete scampo.
Maria Teresa La Sala