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Riforma codice antimafia, durissima l’UCPI: Legislatore improvvisato insegue i populisti

«Nulla ha potuto fermare un legislatore improvvisato che ha pensato di poter equiparare gli indiziati di un delitto contro la pubblica amministrazione ai sospettati di appartenere a sodalizi mafiosi, e di poter salvare l’assurdità di una simile equiparazione mediante la introduzione al Senato della modifica che prevedeva che tali reati dovessero essere comunque inseriti nell’ambito di una associazione a delinquere». Tuona così il comunicato dell’Unione delle camere penali italiane dopo l’approvazione, il 27 settembre scorso, della riforma al Codice antimafia. Nel mirino dei penalisti l’estensione dell’applicabilità delle misure di prevenzione anche agli indiziati di aver commesso reati contro la pubblica amministrazione. Il Parlamento, rincara l’UCPI, avrebbe ancora una volta «l’oramai dilagante populismo giustizialista, approvando una legge inutile e pericolosa, contraria alle più elementari regole del diritto».

La misura avversata dall’unione dei penalisti  vede contrari anche autorevolissimi esponenti del mondo universitario. Senz’appello la bocciatura di giuristi del calibro di Vincenzo Maiello, Giovanni Verde, Vittorio Manes, Luciano Violante. Non meno critici anche gli ex presidenti della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, Sabino Cassese e Valerio Onida.

Ad infiammare il dibattito, quest’estate, è stato il professore  Giovanni Fiandaca, che dalle pagine de Il Mattino aveva espresso una opinione severissima sulla nuova legge. Il senso della critica era lapidario: la confisca di prevenzione, che può colpire l’intero patrimonio di chi non sia in grado di dimostrarne la lecita provenienza, era stata introdotta nel 1982 per colpire gli indiziati di appartenenza alla criminalità organizzata di stampo mafioso, in quanto la presunzione di pericolosità di tali soggetti era avvalorata da un presupposto di carattere storico, empirico e criminologico, secondo cui le consorterie accumulano patrimoni grazie ad attività illecite ripetute e protratte nel tempo. Una simile presunzione è assolutamente illogica, ove rapportata a chi sia sospettato di aver magari commesso un solo episodio di corruzione o la cui condotta illecita si sia arrestata alla soglia della mera promessa di denaro, e senza che sia dimostrato, come era richiesto nel sistema vigente prima della recente riforma, un atteggiamento professionale  del soggetto proposto o la abituale dedizione di lui a compiere reati di quella natura, dai quali venissero ricavati proventi con i quali vivere, almeno in parte. La riforma allarga l’ambito applicativo del procedimento di prevenzione, che resta tuttavia svincolato da tutte le regole del giusto processo, correndo su di un binario parallelo a quello del processo ordinario, dove contraddittorio e immediatezza sono principi ampiamente compromessi, in cui non vale la regola del ragionevole dubbio, non è necessario dimostrare la colpevolezza del sospettato, non deve essere raggiunta la prova della sua effettiva responsabilità rispetto singole ipotesi di reato, ma basta un mero indizio ai fini della applicazione delle misure.

Il legislatore, lamenta ancora l’Unione delle camere penali, «si è preoccupato di dilatare i tempi a disposizione del giudice per il deposito della decisione, ma non ha recepito alcuna delle proposte emendative che l’Unione ha più volte presentato, dirette a rafforzare il diritto di difesa ed a riequilibrare il procedimento di prevenzione attraverso l’ampliamento degli spazi di esercizio della difesa tecnica, alla quale vengono al contrario lasciati i medesimi risibili termini di dieci giorni per apprestare le difese e per impugnare le decisioni di prevenzione, a fronte degli anni a disposizione degli inquirenti per svolgere le indagini ed il numero spesso enorme degli atti da consultare e da studiare, frutto di una attività investigativa svolta dagli inquirenti al di fuori di ogni minima forma di giurisdizionalizzazione, in quanto sottratta del tutto ai controlli che il legislatore del 1988 aveva ritenuto di affidare al Giudice delle indagini preliminari».

 

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