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Fare il saluto fascista non sempre è reato

Con la sentenza 8108/2018 la Corte di Cassazione fornisce alcune precisazioni sul reato di “manifestazioni usuali al disciolto partito fascista”. In particolare, la Suprema Corte in tale occasione si sofferma sul “saluto romano”.

 

E’ sicuramente destinata a fare scalpore la recente pronuncia della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione n° 8108/2018, con la quale è stato affrontato il delicato e discusso tema dell’offensività dei gesti che “rievocano” il fascismo.

Il caso

In occasione di una manifestazione in ricordo di un personaggio politico scomparso, appartenente al proprio partito, due persone tenevano condotte che andavano dall’esposizione di bandiere e  striscioni con croci celtiche fino al “saluto romano”. I due, accusati di “concorso in manifestazioni usuali al disciolto partito fascista” (reato punito dall’art. 5 legge 645/1952, cd. “Legge Scelba”), vengono però assolti in primo grado nel 2015 dal GUP del Tribunale di Milano per insussistenza del fatto. La decisione viene confermata l’anno successivo pure dalla Corte d’Appello milanese.

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello propone così ricorso per Cassazione. Nello stesso si evidenzia in particolare l’emersione nella vicenda concreta di comportamenti degli imputati volti a diffondere l’ideologia fascista, o meglio la “…precisa volontà di pubblicizzare l’ideologia in questione con effetto oltremodo diffusivo nel pubblico”. Tale valutazione viene desunta da una serie di aspetti, quale lo svolgimento della manifestazione in violazione di precisi divieti imposti in precedenza dalla Questura – in particolare quello di esporre croci celtiche o simboli analoghi- e lo stesso compimento del saluto romano, idoneo a perseguire un fine di proselitismo se compiuto durante una manifestazione, secondo la valutazione del ricorrente.

 

La decisione della Corte: la vera offensività del “saluto romano”

La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ritiene il ricorso inammissibile. Nel motivare tale scelta, la Corte ricorda la consolidata giurisprudenza costituzionale formatasi proprio in ordine al reato in questione. Da essa si evince un importante principio di diritto, per cui sono punibili esclusivamente le manifestazioni, sì usuali al disciolto partito fascista, ma in grado di “…determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute”, nonché “…idonee a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione” delle organizzazioni predette.

Tale premessa è senza dubbio fondamentale nel ragionamento seguito dalla Corte. Il reato ex art. 5 Legge645/1952 è reato di pericolo concreto, per cui non potrà mai prescindersi da una verifica puntuale della effettiva offensività di taluni gesti e condotte, i quali quindi mai saranno punibili ove puramente commemorativi ed inidonei a ingenerare quel pericolo di ricostituzione e proselitismo tenuto presente dalla Corte Costituzionale.

E’ proprio la natura puramente commemorativa che la Corte invece ravvisa nelle gesta tenute dagli imputati, anche se consistenti nel saluto romano e nell’esposizione di simboli chiaramente fascisti, pertanto di per sé non punibili perché esercizio della libertà di manifestazione di pensiero tutelata dall’art. 21 della Costituzione, avuto riguardo anche alle modalità con cui si è tenuta la manifestazione stessa (in silenzio, senza comportamenti minacciosi ed utilizzo di armi). In definitiva, essendo privi di “…connotati tali da suggestionare concretamente le folle inducendo negli astanti sentimenti nostalgici in cui ravvisare un serio pericolo di ricostituzione del partito fascista”, questi comportamenti non meriteranno sanzione penale, o quantomeno quella prevista dal citato art. 5.

 

Sarà facile “distinguere”?

Nonostante si richiami nel complesso una serie di sentenze che già avevano chiarito aspetti e struttura del reato di manifestazioni usuali al disciolto partito fascista, la sentenza in commento sembra portare ad un’affermazione importante, e cioè la non punibilità in particolare del “saluto romano” in quanto tale. Se alla base di essa vi è senza dubbio l’esigenza -in astratto-  di non limitare indebitamente l’esercizio di un diritto fondamentale quale la libertà di manifestazione del pensiero, in concreto non sarà facile d’ora in poi per i giudici stabilire, di volta in volta, la ricorrenza ad esempio di un fine di commemorazione o di quello vietato di proselitismo: si prospetta il rischio di indagini complesse e “certosine”, costrette a tener conto di dettagli anche minimi che però potranno ben prestarsi  a letture contraddittorie.

 

Antonio Cimminiello

 

 

 

 

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