Il ricorso per Cassazione che presenta i caratteri di cui all’art. 360 bis c.p.c., deve essere dichiarato inammissibile e non manifestamente infondato. Così la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 7155 del 21 marzo 2017.
La sentenza in esame segna un revirement delle Sezioni Unite su un tema molto dibattuto in dottrina e giurisprudenza. Il ricorso per Cassazione che viene proposto contro una sentenza che si è conformata alla giurisprudenza di legittimità e privo di motivi che possano mutare l’orientamento giurisprudenziale, deve essere dichiarato inammissibile o non manifestamente infondato? Secondo l’ultimo arresto delle Sezioni Unite la via è quella della inammissibilità.
Manifesta infondatezza, il primo orientamento delle Sezioni Unite
L’art. 360 bis c.p.c. è stato introdotto nel nostro ordinamento con la legge n. 69 del 18 giugno 2009. Norma controversa sin dalla sua genesi, essa è stata oggetto di giudizio da parte della Suprema Corte a Sezioni Unite inizialmente con l’ordinanza 6 settembre 2010 n. 19051, il cui principio di diritto è stato applicato anche dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 5941 del 16 aprile 2012 ed infine dalla sentenza della Cassazione, sez. I, 18 marzo 2016, n. 5442.
Con le pronunce elencate la Cassazione ha stabilito che «il ricorso scrutinato ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile, se la sentenza impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengono prospettati argomenti per modificarla, posto che, anche in mancanza, nel ricorso, di elementi idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito, il ricorso potrebbe trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la giurisprudenza di legittimità, la prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo mutata».
La vicenda
La pronuncia in esame trae origine da un giudizio per l’accertamento di intervenuta usucapione.
Il promissario acquirente di un fondo chiamava in giudizio i promittenti venditori al fine di sentir dichiarare l’acquisto della proprietà del fondo per usucapione speciale, avendo egli posseduto il fondo uti dominus fin dalla stipula del preliminare.
Resisteva uno dei convenuti deducendo il proprio recesso dal contratto preliminare, in base a specifica clausola contrattuale, a seguito dell’instaurazione del procedimento penale per lottizzazione abusiva, e proponendo in via subordinata le domande di arricchimento senza causa e risarcimento del danno. Il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda attorea e rigettava le riconvenzionali.
L’attore proponeva quindi appello che veniva rigettato nel merito. La Corte d’Appello, seguendo un consolidato orientamento giurisprudenziale, riteneva che il promissario acquirente fosse mero detentore del fondo promesso in vendita e quindi non avesse, con tale fondo, una relazione qualificabile come possesso utile ad usucapionem.
Avverso tale sentenza Tizio proponeva ricorso per Cassazione.
L’ordinanza di rimessione
Il procedimento veniva assegnato alla Sezione Sesta-2 Civile. Il consigliere designato, nella relazione, evidenziava la manifesta infondatezza del ricorso. Il collegio, con ordinanza n. 15513 del 25 luglio 2016, rimette la causa al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima importanza, oggetto di contrasto, relativa alla formula definitoria ex art. 360 bis n. 1 c.p.c. di manifesta infondatezza nel merito o d’inammissibilità in rito.
L’ordinanza di rimessione, dopo una analisi puntuale dell’art. 360 bis, sia dal punto di vista letterale che da quello sistematico, tenute presenti le “Linee guida per il funzionamento della sesta sezione civile“, diffuse con circolare del Primo Presidente della Cassazione, perviene ad una diversa ricostruzione, rispetto a quella effettuata dalle Sezioni Unite del 2010. Secondo la Sesta Sezione infatti «l’inammissibilità sancita dall’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ., riguardando il contenuto-forma dell’atto-ricorso, è di natura processuale: essa è conseguenza del mancato adempimento, da parte del ricorrente, dell’onere di formulare i motivi secondo le modalità prescritte dall’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ.» Si tratta di una figura di inammissibilità “genetica” «che prescinde dall’esame nel merito del ricorso e riguarda, invece, il profilo pregiudiziale della decidibilità nel merito del mezzo di impugnazione. Essa, infatti, emerge dalla verifica — mediante un primo esame dell’atto-ricorso — dell’avvenuto adempimento, da parte del ricorrente, dell’onere motivazionale impostogli dall’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ. e impedisce l’esame del merito del ricorso».
La decisione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite, discostandosi dall’orientamento affermato in precedenza, affermano che si debba parlare di inammissibilità e non di manifesta infondatezza quando il ricorso in Cassazione presenta i caratteri di cui all’art. 360 bis cpc.
I giudici, nel motivare la loro decisione, partono dal dato letterale della norma, che che si esprime in termini
del tutto inequivoci nel senso della inammissibilità.
Alla luce dell’attuale quadro normativo non è più ormai condivisibile l’idea secondo la quale l’inammissibilità del ricorso potrebbe sussistere solo in presenza di difetti attinenti alla struttura formale del ricorso medesimo o alle modalità in cui il suo contenuto è espresso. La Corte evidenzia come «il legislatore ha fatto mostra di utilizzare a più riprese la categoria dell’inammissibilità, per facilitare una decisione in limine litis, anche in presenza di ragioni di merito che risultino agevolmente percepibili e siano perciò suscettibili di un più snello iter motivazionale: si pensi all’art. 348 bis c.p.c.».
La decisione delle Sezioni Unite: il ricorso è inammissibile
Non decisivo appare l’argomento relativo al “momento” della valutazione di conformità della decisione impugnata alla giurisprudenza della Corte, disposta dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c.. La valutazione va fatta al momento della decisione, potendo la giurisprudenza aver mutato orientamento rispetto al momento in cui il ricorso è stato proposto. Nulla osta però ad una declaratoria di ammissibilità. La Corte infatti può ritenere «in tal caso ammissibile (ed eventualmente fondato) un ricorso che, ove la giurisprudenza fosse rimasta invariata, sarebbe andato verosimilmente incontro ad una dichiarazione d’inammissibilità per non avere offerto elementi idonei a mutarne orientamento».
Del resto, non impedisce di pervenire alla medesima conclusione nel caso in cui la Corte ravvisi la necessità di mutare il precedente orientamento giurisprudenziale sulla base di una diversa valutazione operata d’ufficio.
Vero è che la valutazione va fatta al momento della decisione ma ciò, ribadisce la Corte, non implica, di per sé, che debba parlarsi di infondatezza ma significa solo che possono darsi casi di ammissibilità sopravvenuta, dei quali la corte dovrà evidentemente tener conto nella sua decisione.
La decisione delle Sezioni Unite: i singoli motivi di ricorso e la funzione di filtro
La Suprema Corte precisa anche che le ragioni d’inammissibilità contemplate dal citato art. 360 bis possono investire anche soltanto singoli motivi di ricorso e non debbono perciò necessariamente comportare l’inammissibilità del ricorso nel suo insieme, ove questo sia costituito da più motivi.
Da qui emerge la sostanziale differenza con l’art. 348 bis e ter in materia di appello.
La condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nell’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ., ricorda la Corte «non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, laddove non vengano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonda».
Aderendo a tale interpretazione si ripristina la funzione di filtro, presente già nelle intenzioni del legislatore del 2009, dell’art. 360 bis. La Suprema Corte infatti così verrebbe «dall’esprimere compiutamente la sua adesione alla soluzione interpretativa accolta dall’orientamento giurisprudenziale precedente: è sufficiente che rilevi che la pronuncia impugnata si è adeguata alla giurisprudenza di legittimità e che il ricorrente non la critica adeguatamente».
Il filtro in questo caso consisterebbe nella delibazione rapida di ricorsi palesemente “inconsistenti”. La Corte precisa comunque che si tratterebbe di una «inammissibilità di merito, compatibile con la garanzia dell’art. 111, settimo comma della Costituzione». Quest’ultima precisazione sembra voler mettere la parola fine ai dubbi di costituzionalità che aleggiano sulla norma sin dalla sua nascita, dubbi che che spesso sono stati anche evidenziati dalla dottrina.
Maria Rosaria Pensabene