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Sì al licenziamento del dipendente che, seppur “obbediente”, non è diligente

In un contesto lavorativo sempre più competitivo e fortemente in crisi, il rispetto dei canoni principali che devono guidare ogni attività sul luogo di lavoro e nei rapporti coi propri superiori è di sicura importanza. La giurisprudenza spesso è chiamata a fornire alcune precisazioni al riguardo, ricordando i limiti da non valicare e le regole da rispettare, e di recente si è occupata del bilanciamento fra la diligenza e l’ubbidienza del lavoratore nei confronti dei datori di lavoro.

La questione è semplice: quanto incidono sull’operato di un dipendente, e al fine di evitare un licenziamento, la sua capacità di essere diligente e quella di rispettare le direttive impartite dai propri superiori?

Il dipendente non diligente: il licenziamento

Il caso analizzato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4011 dello scorso 15 febbraio 2017 riguarda un licenziamento per giusta causa di un dipendente delle Ferrovie dello Stato.

Il lavoratore, che si occupava assieme ad altri colleghi dello smaltimento di materiali ferrosi sull’intero territorio nazionale, si era visto contestare dalla procura della repubblica di Belluno il reato di peculato ai danni delle Ferrovie dello Stato, per aver sottratto indebitamente materiale ferroso.

Secondo la ricostruzione della Corte d’Appello di Venezia (sentenza n. 52/2013) il licenziamento era da considerarsi senza alcun dubbio proporzionato in relazione al grave comportamento addebitato al lavoratore, in quanto ritenuto “idoneo a ledere in modo irreversibile il rapporto fiduciario con la datrice di lavoro”.

La sua condotta è stata infatti ritenuta dalla Corte d’Appello di Venezia integrante una violazione “delle norme regolamentari ferroviarie e delle regole di normale diligenza, essendo stato accertato che le norme regolamentari dell’epoca – poi sostituite con altre più dettagliate – comunque prevedevano che nelle operazioni di pesatura si dovesse rispettare il contraddittorio”.

Il dipendente non diligente: la decisione della Cassazione

Il dipendente ricorre in Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Venezia rilevando, fra gli altri motivi di impugnazione, che la Corte territoriale non avrebbe valutato in modo corretto le linee guida contenute nella c.d. “Procedura operativa funzionale” di Ferrovie dello Stato in quanto, con la propria condotta, non avrebbe violato alcuna disposizione regolamentare ferroviaria, né tantomeno le normali regole di diligenza.

In particolare, nel ricorso si sottolinea come l’operato fosse stato posto in essere alle dirette e rispettose dipendenze delle direttive ed istruzioni impartite dal proprio superiore gerarchico, escludendo pertanto in tal modo qualsiasi contestazione, sotto il profilo soggettivo, della buona fede del lavoratore.

Nessuna responsabilità disciplinare poteva pertanto imputarsi al dipendente licenziato.

La Corte di Cassazione disattende le istanze del lavoratore in modo netto, accogliendo quelle delle Ferrovie dello Stato e citando numerosi precedenti in materia (Cass. 4 marzo 2013, n. 5280; Cass. 16 ottobre 2015, n. 21017; Cass. 25 maggio 2016, n. 10842). La conclusione cui è giunta la Corte d’appello, si legge nella pronuncia della suprema Corte, riguardo una “indubbia proporzionalità del licenziamento per giusta causa in oggetto alla gravità del comportamento addebitato”, è stata congruamente motivata mediante “un’attenta valutazione da un lato della gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali erano stati commessi, alla loro reiterazione ed all’intensità dell’elemento intenzionale”. Secondo quanto riportato nel giudizio di secondo grado, peraltro, “per il compito che il lavoratore era chiamato a svolgere – operazione di vendita di materiale ferroso a peso, previa pesatura – il dovere di diligenza richiesto al dipendente era rafforzato”, dovendo di conseguenza “considerarsi irrilevante l’affermazione dell’interessato secondo cui egli avrebbe agito osservando le direttive del proprio superiore gerarchico”.

Chiara Pezza

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