La IV Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 148 del 2017, ha chiarito che “il Comune, nella persona del Sindaco è da ritenersi il responsabile del benessere degli animali presenti sul territorio comunale, rispetto ai quali vanta una posizione di garanzia, che comporta l’obbligo di far fronte al loro mantenimento in caso di confisca” ha inoltre ribadito la obbligatorietà della confisca anche in caso di violazione dell’articolo 727 c.p. in quanto “la detenzione degli animali in tal modo comporta reato e dunque rientra nella previsione di cui all’articolo 240 comma 2 del codice penale in base al quale come è noto deve sempre essere ordinata la confisca delle cose la cui detenzione costituisce reato”. Competente a provvedere quindi è sempre, nei confronti di animali oggetto di confisca passata in giudicato in caso di maltrattamento, il Comune del territorio d’appartenenza dell’animale.
Il caso
La notizia è stata diffusa dall’avv. Carla Campanaro, da tempo a servizio della Lega anti vivisezione (LAV)
Il Tribunale di Cuneo in funzione di Giudice dell’esecuzione respingeva la richiesta di liquidazione di un allevamento che aveva avuto in custodia alcuni cani vittime di maltrattamento a seguito di un decreto penale di condanna non opposto cui seguiva la confisca degli animali, non affidati ai sensi dell’articolo 19 quater disposizione di coordinamento e transitorie del codice penale.
Con tale ordinanza poi impugnata in Cassazione, il Giudice dell’esecuzione riteneva che nel momento in cui il sequestro, atto limitativo del diritto di proprietà, si convertiva in confisca, atto di trasferimento coattivo del diritto stesso, si sarebbe realizzato il trasferimento della proprietà degli animali al Comune, il quale diveniva così proprietario ed affidatario degli animali. Motivo per cui le spese di custodia successive alla confisca divenuta definitiva degli animali erano da addebitarsi ai Comuni competenti per territorio, anche ai sensi della normativa statale che attribuisce al Comune i compiti di gestione dei randagi, cui andava comunicato il decreto penale di condanna.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso l’allevatore deducendo la violazione dell’articolo 19 quater ed il fatto che il Giudice dell’esecuzione con il provvedimento impugnato nulla disponeva sulla destinazione degli animali, e che era stato scritto, contrariamente al vero che gli animali erano stati affidati alle cure dei comuni competenti che avrebbero dovuto occuparsi del loro mantenimento.
La ricorrente deduceva anche la violazione dell’articolo 240 c.p. anche in relazione al Dpr 8 febbraio 1954 n 320 e all’articolo 3 del Dpr 31 marzo 1979 in quanto non vi è nessuna norma speciale che attribuisce ad un ente diverso dallo Stato la proprietà degli animali, ed anzi l’articolo 19 citato indica che gli animali sono ‘affidati’ agli enti o associazioni che ne fanno richiesta, motivo per cui la proprietà degli animali doveva ricadere in capo allo Stato.
La Corte di Cassazione effettua così una preliminare disamina sulle normative a tutela degli animali, rilevando come il primo provvedimento che ha affermato il rispetto di ogni forma di vita è la Dichiarazione Universale dei diritti degli animali, proclamata a Parigi presso la sede dell’Unesco il 15 ottobre 1978 e sottoscritta da personalità del mondo filosofico, scientifico e giuridico. In tale provvedimento all’articolo 1 si legge che “Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza” che ha influenzato la successiva legislazione in materia di animali.
Il successivo provvedimento degno di nota e con piena valenza giuridica è stata la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia firmata a Strasburgo il 13 novembre 1987 e successivamente ratificata dall’Italia con la legge n 201 del 2010, con tale Convenzione è previsto che “l’uomo ha l’obbligo morale di rispettare tutte le creature viventi”, ed ha affermato l’importanza degli animali da compagnia “a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società”.
Inoltre con il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il cosiddetto Trattato di Lisbona (firmato a Lisbona da 27 Paesi dell’Unione il 1 gennaio 2009 e ratificato dall’Italia con legge n130 del 2009) all’articolo 13 gli animali sono riconosciuti quali “esseri senzienti” imponendo così al legislatore comunitario di tenere in considerazione tale status giuridico nel processo di formazione delle norme comunitarie. Con tale qualificazione, si richiede così un impegno delle politiche degli Stati membri sul punto della tutela degli animali e relative politiche, che devono così essere orientate a principi di protezione e benessere degli stessi.
In ambito nazionale, la Corte di Cassazione nel suo excursus giuridico sulle normative a tutela degli animali fa riferimento, essendo oggetto della sua disamina animali d’affezione, alla legge n 281 del 1990, con fine di tutela degli animali da compagnia e prevenzione del randagismo, che demanda alle Regioni il compito di attuare le previsioni in essa contenute attribuendo così, ragiona la Corte “specifici compiti alle diverse istituzioni ed autorità di controllo, oltre che ai proprietari degli animali, determinando la nascita di una “disciplina a strati”.
Caposaldo della normativa interna sulla protezione degli animali è poi la legge 189 del 2004 che oltre ad introdurre fattispecie inerenti il delitto di uccisione e maltrattamento di animali con l’articolo 544 sexies c.p. ha introdotto la confisca degli animali “vittime” di reato ogni qualvolta l’imputato sia condannato per tali reati. Con tale legge è inoltre modificato l’articolo 727 c.p. che non prevede una specifica ipotesi di confisca.
Tuttavia, sottolinea il Collegio, la detenzione degli animali in tal modo comporta reato e dunque rientra nella previsione di cui all’articolo 240 comma 2 del codice penale in base al quale come è noto deve sempre essere ordinata la confisca delle cose la cui detenzione costituisce reato.
Ciò premesso la Suprema Corte interviene a cristallizzare le competenze a provvedere in materia di animali oggetto di sequestro e confisca.
La premessa è che l’articolo 19 quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale prevede che gli animali oggetto di provvedimento di sequestro e di confisca sono affidati alle associazioni o agli enti che ne facciano richiesta e che diano garanzia di tenerli in modo adeguato.
Ma, ragiona la Corte, il problema si pone ogni qual volta tali enti non ne facciano richiesta e dunque occorre individuare l’ente pubblico deputato al loro mantenimento.Nel caso di cui trattasi, ragiona la Suprema Corte, trattandosi di cani meticci l’ente pubblico è stato correttamente individuato nel Comune nella cui sede vi era l’allevamento ricorrente.
Questo in quanto il Dpr 31 marzo 1979 all’articolo 3 attribuisce al Sindaco la vigilanza sull’osservanza delle leggi e delle norme relative alla protezione degli animali presenti sul territorio comunale, inoltre il Dpr 8 febbraio 1954 n 320 recante regolamento di polizia veterinaria il Sindaco è individuato quale massima autorità sanitaria locale con poteri coercitivi maggiori di quelli riservati al servizio Ausl, ed inoltre la legge 8 giugno 1990 n 142 sull’ordinamento delle autonomie locali e le più recenti leggi n 94 e 127 del 1997 nonché i successivi decreti attuativi sulle autonomie locali hanno definito ulteriormente gli ambiti delle competenze comunali in materia. Infine, la stessa legge 281 del 1991 all’articolo 4 ha espressamente attribuito ai Comuni il compito di risanare i canili comunali e la costruzione dei rifugi per cani
Pertanto ragiona la Suprema Corte in base al combinato disposto delle norme citate “il Comune, nella persona del Sindaco è da ritenersi il responsabile del benessere degli animali presenti sul territorio comunale, rispetto ai quali vanta una posizione di garanzia, che comporta l’obbligo di far fronte al loro mantenimento in caso di confisca”, e pertanto a seguito del passaggio in giudicato della confisca viene meno la competenza dello Stato per le spese di custodia nel corso del procedimento e del processo penale e vengono ripristinati in capo al Comune tutti gli oneri e doveri della normativa citata.