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Società fra avvocati, Cnf e Ocf chiedono modifiche e l’Anf insorge

La disciplina delle società fra professionisti resta un tema rovente, nel mondo forense. Il 12 giugno il Consiglio Nazionale Forense e l’Organismo Congressuale Forense hanno approvato un documento congiunto  con cui chiedono al legislatore alcune modifiche al cosiddetto ddl concorrenza nella parte in cui disciplina l’esercizio della professione forense in forma associata.

In particolare, nel documento si punta il dito contro la norma che consentirebbe l’ingresso nelle società di professionisti anche di soci di capitale. Secondo Cnf e Ocf, si tratta di soggetti per definizione interessati soltanto all’accrescimento del capitale investito e alla ripartizione degli utili e questo porrebbe «la società tra avvocati in una prospettiva nella quale gli interessi da difendere e il tempo dedicato alla difesa dipendono esclusivamente dalla redditività che cause e consulenze possono recare». Nel documento indirizzato alle camere si paventa dunque il rischio «che il capitale condizioni la libertà professionale nell’assunzione del mandato professionale» a discapito del diritto di difesa del cittadino e dell’autonomia dell’avvocatura.

Preoccupazioni emergono anche rispetto alla possibilità del socio di capitali di partecipare, ancorché con una quota minoritaria, all’organo di gestione. «Pur sancendo ora che la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere di avvocati, non assicura affatto che lo sia l’amministratore delegato, o comunque il componente con i più ampi poteri gestori», spiega il documento. La richiesta è dunque quella di imporre che tutti i componenti dell’organo di gestione siano avvocati, «per evitare il rischio di una subordinazione degli avvocati al capitale».

Clicca qui per leggere le Osservazioni del CNF e OCF al AC 3012-B (ddl concorrenza)

Le proposte avanzate congiuntamente da Cnf e Ocf sono bollate senza mezzi termini «irragionevoli e deleterie» dal segretario dell’Associazione Nazionale Forense Luigi Pansini, il quale teme che uno stop al ddl concorrenza finisca col pesare sul futuro degli avvocati e più giovani, impedendo ai professionisti di tenersi al passo con i tempi.

Le norme dedicate all’esercizio della professione forense in forma societaria, ribatte Pansini, «prevedono che i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all’albo e che il venire meno di questa condizione costituisce causa di scioglimento della società. L’incarico poi può essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente. Inoltre, e ciò dovrebbe togliere ogni dubbio a chi considera acriticamente la norma, i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori e la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati».

Secondo il segretario di Anf la proposta delle istituzioni forensi andrebbe dunque cestinata: «Il Ministro Calenda respinga al mittente l’idea, che visti i tempi e i modi non tiene conto dell’imminente entrata in vigore del ‘Job’s act’ dei lavoratori autonomi, il cui impatto sulla professione è comunque tutto da valutare, e della necessitá di favorire l’aggregazione tra professionisti e tra avvocati per rispondere ad esigenze della società civile in continua evoluzione. Il lunghissimo percorso parlamentare della norma ha portato ad una formulazione che rende del tutto pretestuosa l’asserita minaccia di una compromissione dell’autonomia della professione legale».

 

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