Non impedire al figlio di tenere lo stereo a tutto volume è costato caro ad un noto giornalista della televisione italiana, condannato in Cassazione ad una multa salata per una vicenda condominiale che lo ha visto coinvolto.
La sentenza della Cassazione penale n. 53102 del 15 dicembre 2016 ha confermato la condanna per il noto giornalista italiano, Clemente Mimun. Dalla direzione dei telegiornali in Rai e in Mediaset, il famoso e meritevole giornalista italiano è finito sul banco degli imputati in una vicenda giudiziaria che ha concluso il suo iter in Cassazione. Il tutto, per una questione banale e di vita quotidiana…all’interno di un condominio.
L’accusa mossa al giornalista è stata quella relativa alla contravvenzione punita dall’art. 659 del codice penale che sanziona le condotte che arrecano disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone per aver tenuto all’interno della propria abitazione il volume dello stereo troppo alto, o meglio, per non aver adeguatamente vigilato sulla condotta del figlio minorenne responsabile di tale condotta.
La condotta fastidiosa denunciata dai vicini del condomino è finita all’ultimo grado di giudizio, ove il difensore dell’imputato ha invano invocato il principio secondo cui affinché sussista la contravvenzione in oggetto relativamente ad attività che si svolgono in ambito condominiale, sarebbe necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o turbare la quiete e non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il fabbricato.
Ebbene, pur condividendosi tale principio di diritto la Corte non ha potuto applicarlo al caso di specie per escludere la punibilità del giornalista: ebbene, dal materiale probatoria era risultato infatti che i rumori prodotti dallo stereo tenuto a tutto volume erano stati percepiti a notevole distanza, percependosi addirittura fino a circa ottanta metri di distanza dall’edificio condominiale e, per di più, non in un’occasione temporalmente circoscritta ma in molteplici momenti nel corso di tre anni, dal 2008 al 2011, con notevoli disagi per gli altri condomini e abitanti dell’area.
La responsabilità di Clemente Mimun non si fonda tuttavia su una condotta riprovevole e “poco condominiale” a lui direttamente imputabile, essendo stato lo stesso chiamato a rispondere del fatto commesso dal figlio che, in quanto minorenne, era sottoposto alla sua responsabilità genitoriale con i connessi obblighi di sorveglianza, controllo ed educazione. Una responsabilità penale quindi per fatto altrui, in virtù della posizione di garanzia gravante sui genitori per i fatti illeciti dei figli minori conviventi ex art. 40 del codice penale.
Una vicenda condominiale iniziata nel 2008, coinvolgente un importante personaggio della televisione italiana, è dunque arrivata nelle aule penali per finire dinanzi alla Suprema Corte ed ivi concludersi con la conferma della sanzione pecuniaria e della condanna alle spese processuali a carico del noto giornalista a cui è costato caro non impedire al figlio di ascoltare lo stereo a tutto volume.
Martina Scarabotta