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Terrorismo islamico: “l’indottrinamento” non è punibile

Sono state depositate di recente le motivazioni della sentenza n° 48001/2016, con la quale la Cassazione aveva annullato le condanne per terrorismo comminate a 4 uomini, tra cui il discusso Imam di Andria Hosni Hachemi Ben Hassen.

Alla base di tale scelta, la riscontrata assenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 270-BIS c.p. e l’insufficienza della sola attività “teorica” necessaria per procacciare nuovi uomini alla Jihad.

Grande scalpore aveva suscitato la sentenza- datata 14 Luglio 2016- con la quale la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione aveva disposto l’annullamento delle condanne disposte in precedenza per i quattro terroristi islamici frequentanti la moschea di Andria per il reato di associazione terroristica ex art. 270-BIS c.p. A distanza di pochi mesi sono state depositate le motivazioni della pronuncia.

Il fatto

La vicenda giudiziaria, iniziata nel 2014 coinvolgendo i tunisini Hosni Hachemi Ben Hassen. Hammami Mohsen,  Ifaoui Nor e l’italiano Chamari Hamdi, si era chiusa in secondo grado con il riconoscimento della loro responsabilità penale per i reati di cui agli artt. 270-BIS c.p. e  art. 3, lett. B, legge n. 654/1975 ( istigazione all’odio e violenza contro il popolo ebraico, fatto quest’ultimo però contestato al solo Hosni).

In verità le prove raccolte non mancavano di suscitare una serie di perplessità: la presenza di intercettazioni risalenti al lontano 2009 (cui avrebbe fatto seguito l’arresto degli imputati ma solo nel 2013); il fatto che le telefonate dai tono più cruenti e deliranti provenissero da altro soggetto non identificato; l’assenza di un contributo concreto degli imputati all’associazione. E proprio su tale ultimo aspetto si fonda principalmente il ricorso per Cassazione proposto dagli imputati: l’assenza di “...una struttura organizzata la cui effettività renda quanto meno possibile l’attuazione del progetto criminoso, e una partecipazione all’associazione che non si limiti a un’adesione ideale al programma criminoso, ma si traduca nell’assunzione di un ruolo concreto nel sodalizi”, ostacolerebbe l’applicazione dell’art. 270-BIS c.p. al caso in esame.

La ricostruzione della Suprema Corte

La Cassazione prende le mosse proprio dal discusso insieme di intercettazioni raccolte. Dalle conversazioni tenute da tutti gli imputati l’unico dato che sembra emergere con certezza è  la comune esaltazione del martirio per la causa islamica e l’aspirazione a raggiungere i luoghi di combattimento per arrivare a tale intento. Nei precedenti gradi di giudizio tutto ciò era stato qualificato come programma criminoso da cui poter desumere l’esistenza di una vera e propria associazione terroristica internazionale.

E’ proprio questo l’aspetto non condiviso dalla Suprema Corte. L’associazione di cui all’art. 270-BIS c.p. senza dubbio deve essere in grado di compiere atti astrattamente in grado di ingenerare “la concreta possibilità di un grave danno per uno Stato, nei termini di un reale impatto intimidatorio sulla popolazione dello stesso, tale da ripercuotersi sulle condizioni di vita e sulla sicurezza dell’intera collettività  ovvero di un determinante esito costrittivo o destabilizzante nei confronti dei pubblici poteri”. Tali  atti terroristici od eversivi comunque dovranno pur sempre essere caratterizzati però da consistenza ed effettività.

Nel caso in esame nessuna di queste caratteristiche è riscontrabile. Non solo-come tra l’altro riconosciuto anche nei precedenti gradi di giudizio- dall’epoca delle intercettazioni non risultava il compimento di alcun atto terroristico attribuibile all’associazione, anche nella forma minima; ma a venire in rilievo era stata esclusivamente una “…attività di proselitismo e indottrinamento, finalizzata ad inculcare una visione positiva del combattimento per l’affermazione dell’islamismo e della morte per tale causa”. Il che avrebbe potuto giustificare solo l’applicazione di misure di prevenzione.

Effettività del reato o tutela da anticipare?

L’aver richiamato la prevalenza della materialità e necessaria offensività del diritto penale anche in questo caso dimostra come da una valutazione in concreto non si possa sfuggire anche in presenza di reati dove la pericolosità è già riconosciuta in origine per legge (cd. “reati di pericolo presunto”, proprio come nel caso dell’art. 270-BIS c.p.).

L’applicazione di tali principi però in una materia particolarmente delicata- quale è oggi senza dubbio la lotta al terrorismo islamico- ed in una fase storica dove la paura diffusa spinge proprio ad invocare un’anticipazione della tutela penale, è destinata sicuramente a far discutere.

Antonio Cimminiello

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