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Top Legal difende avvocati d’affari e grandi studi

Una spaccatura profonda all’interno del mondo forense rischia di trascinare i «megastudi» in uno scontro fra ricchi e poveri. Lo denuncia la rivista TopLegal, secondo la quale l’avvocatura italiana sconta un forte ritardo nel cogliere le profonde trasformazioni che hanno percorso la società negli ultimi decenni, restando «aggrappata ai suoi vecchi schemi», «a un apparato giudiziario inflessibile, inefficiente e poco sensibile alle esigenze dell’economia e della finanza globalizzata», in cui un nuovo «capitalismo cognitivo» ha sostituito quello industriale e i servizi diventano motore dell’economia, creando una domanda di professionalizzazione nuova e diversa.
Da un lato, l’avvocatura di base, schiacciata dalla burocrazia, dagli oneri previdenziali e dalla precarietà, chiede alle istituzioni forensi di correre ai ripari; dall’altro, i «megastudi», che occupano il mercato non lasciando ai «piccoli» che le briciole: stando ai dati della Cassa forense, risulta infatti che appena l’1,9% degli iscritti (4.096 professionisti) guadagna il 27% del reddito totale.
E fin qui nulla di nuovo. A leggere l’editoriale di TopLegal, però, sembrerebbe quasi che i grandi studi legali e gli avvocati d’affari siano le vere vittime di questo stato di cose, ingiustamente bollati come «casta» e fatti oggetto di un crescente risentimento che porta a disconoscerne gli sforzi per «sollevare la professione dal medioevo e instaurare sistemi di formazione e meritocrazia sconosciuti in Italia fino a pochi decenni fa».
E se alcune rivendicazioni dell’avvocatura di base sarebbero «condivisibilissime», nessuno sconto per i «tanti blog su cui scrivono professionisti sempre più insofferenti», tacciati di essere immensamente distanti «non solo dalla detestata élite, ma anche da qualsiasi logica liberale di mercato».
Le critiche certamente non mancheranno: il dibattito è aperto.

Clicca qui per leggere l’editoriale di TopLegal

(Redazione)

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