Trust autodichiarato: la tassazione è dovuta in misura fissa – Cass. civ. sent. n. 21614/2016
Con la recente sentenza n. 21614/2016, la Corte di Cassazione, sez. tributaria, ritorna ad analizzare la fisionomia dell’istituto del “trust autodichiarato” e la sua disciplina fiscale, disattendendo il proprio precedente orientamento assunto dalla VI sezione sulla questione in esame e disattendendo altresì la lettura datane dall’Agenzia delle Entrate in numerose circolari.
Il tema analizzato dalla Corte nella pronuncia in commento, dalle motivazioni relativamente brevi ma dense di argomentazioni, richiede un preventivo riepilogo della struttura e delle caratteristiche del “trust”, e in particolare del trust c.d. “autodichiarato”, al fine di poterne poi disaminare il regime fiscale sulla scorta della risposta ad un quesito preliminare: il conferimento di beni immobili in un trust autodichiarato è un atto di natura traslativa o no?
Il trust e il trust autodichiarato
Il trust è un istituto di derivazione anglosassone, sconosciuto alla tradizione giuridica italiana, e, in generale, agli ordinamenti europei continentali di civil law. Esso ha trovato un riconoscimento legislativo nel nostro ordinamento solo a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja, avvenuta con la legge n. 364 del 16 ottobre 1989 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1992.
Ai sensi dell’art. 2 della predetta Convenzione, il trust è un rapporto giuridico in ragione del quale un soggetto disponente (settlor) trasferisce beni e diritti sotto la disponibilità del trustee, il quale assume l’obbligo di amministrarli nell’interesse di uno o più beneficiari (beneficiary) o per un fine determinato. In estrema sintesi, pertanto, quanto trasferito al “trustee” diviene oggetto di un patrimonio separato, realizzandosi un importante effetto di c.d. “segregazione patrimoniale” per cui esso diviene inattaccabile da parte dei creditori del trustee.
Il trust, quindi, non è un soggetto giuridico autonomo e non è dotato di personalità giuridica, come per esempio avviene invece per le società: esso è invece un “insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e formalmente intestati al trustee, che è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi non quale legale rappresentante, ma come colui che dispone del diritto” (così Cass. sez. trib. n. 25478 del 2015; Cass. sez. I n. 3456 del 2015).
Nella particolare figura del trust cd. autodichiarato il disponente (settlor) ed il trustee coincidono: ne consegue – e anticipiamo così la posizione assunta dalla S.C. nella sentenza in commento – che, con tutta evidenza, in questo caso la costituzione del trust autodichiarato non determina alcun trasferimento patrimoniale concreto. Di fatto essa si sostanzia nella sola apposizione di un vincolo di destinazione su taluni beni del patrimonio del settlor, i quali, a causa del summenzionato effetto segregativo, divengono isolati rispetto al suo restante patrimonio ed inattaccabili dai suoi creditori, pur restando nella sua gestione.
La tesi dell’Agenzia delle Entrate
Ciò posto, è possibile esaminare le tesi sorte in ordine alla problematica di carattere fiscale insita nella particolare figura di trust sopra richiamata.
Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate ricorrente deduceva che con l’art. 2, comma 47 e ss., d.l. 3 ottobre 2006 n. 262 conv. con modif. in I. 24 novembre 2006 n. 286, sarebbe stata “reintrodotta nell’ordinamento giuridico l’imposta sulle successioni e donazioni estendendone l’ambito di applicazione alla costituzione di vincoli di destinazione”, ai quali doveva ricondursi anche la costituzione del trust autodichiarato, atteso che con lo stesso erano stati conferiti beni a titolo gratuito “al trustee da immettere in trust” con efficacia tuttavia “segregante”.
Il citato art. 2 co. 47, difatti, assoggettava espressamente all’imposta sulle successioni e donazioni ex d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 gli atti di costituzione dei “vincoli di destinazione”: “È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54.”
L’imposta sulle successioni e donazioni sopra citata e disciplinata dal d.lgs. 346/1990, quindi, si applicherebbe espressamente ai: i) trasferimenti di beni e diritti per causa di morte; ii) ai trasferimenti per donazione o a titolo gratuito; iii) sulla costituzione di vincoli di destinazione. Tuttavia la norma gode di una chiarezza soltanto apparente. Prima ancora della sua applicabilità al trust autodichiarato, difatti, si era già lungamente dibattuto sulla reale possibilità di accostare i vincoli di destinazione alle successioni e donazioni, e soprattutto, se i vincoli di destinazione debbano essere intesi quale sottocategoria delle successioni e donazioni, o, invece, quale categoria a sé stante, soggetta a un’imposta autonoma e diversa tuttavia disciplinata “per relationem” mediante il predetto rinvio legislativo al d.lgs 346/1990.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, come già prospettato nelle proprie circ. n. 48/E del 6 agosto 2007 e n. 3/E del 22 gennaio 2008, gli “effetti segreganti” propri del trust (autodichiarato o meno, essendo unica la causale ai fini dell’imposizione indiretta) darebbero luogo ad un trasferimento della proprietà dei beni segregati, rientrando pertanto nella previsione di cui all’art. 2, co. 47, del d.l. 262/2006, e, conseguentemente, esso sarebbe assoggettato all’imposta de qua nella misura proporzionale fissata.
La conferma di tale tesi sarebbe rinvenibile nel fatto che le stesse circolari citate stabiliscono che, al contrario, in assenza di conferimento di beni (e quindi in caso di sola costituzione dello stesso), il trust debba scontare soltanto l’imposta di registro in misura fissa, atteso che in questo caso mancherebbe qualsiasi trasferimento di ricchezza, il quale solo è assoggettato all’imposta di successione e donazione quale imposta che tassa il trasferimento di ricchezza liberale.
Secondo l’Agenzia, quindi, la Commissione Tributaria (prima Provinciale e poi) Regionale avrebbe errato a ritenere che, in forza del carattere “autodichiarato del trust, gli immobili e le quote conferiti nello stesso non sarebbero stati realmente trasferiti in quanto rimasti nella sostanza nella gestione del disponente trustee, e che le imposte ipotecaria e catastale avrebbero dovuto essere assolte in misura fissa e non proporzionale.
La precedente tesi della Corte di Cassazione, sez. VI
Secondo un recente e severo orientamento della Corte di Cassazione, sez. VI, non condiviso dalla pronuncia in commento per i motivi che si diranno, il tratto essenziale dell’istituto del trust sarebbe il trasferimento a un trustee terzo, in mancanza del quale il regolamento avrebbe solo la nomenclatura ma non la fisionomia del trust. Esso dovrebbe comunque scontare l’imposta sulle donazioni con aliquota proporzionale e massima dell’8% in quanto la stessa si applicherebbe “sulla costituzione di vincoli di destinazione”, e questo a prescindere dall’esistenza di un reale trasferimento di beni o diritti da un soggetto ad un altro (Cass. sez. n. 4482 del 2016; Cass. sez. VI n. 5322 del 2015; Cass. sez. VI n. 3886 del 2015; Cass. sez. VI n. 3737 del 2015; Cass. sez. VI n. 3735 del 2015).
Detto orientamento pertanto fa propria l’altra lettura sopra riepilogata del controverso contenuto dell’art. 2, co. 47, d.l. n. 262/2006, ritenendo che esso abbia istituito una nuova e autonoma imposta “sulla costituzione dei vincoli di indisponibilità” – anch’essa disciplinata per relationem dal d.lgs. 346/1990 – la quale tuttavia prescinderebbe dal trasferimento di ricchezza derivante dal conferimento dei beni dal settlor al trust. Il presupposto impositivo, pertanto, risiederebbe nella sola e semplice costituzione di un “vincolo d’indisponibilità”, tra cui appunto il trust, come letteralmente disposto dall’art. 2, co. 47, d.l. 262/2006.
Questa tesi non ha tuttavia trovato unanime riscontro in dottrina, essendosi rimarcato che nelle legislazioni straniere – a cui la Convenzione dell’Aja del 1985 legittima il ricorso per la disciplina del trust, art. 6 – il trust c.d. autodichiarato è pacificamente ammesso, e che anche nell’ordinamento italiano sarebbero possibili i vincoli di destinazione auto-istituiti, per esempio la recente fattispecie di cui all’art. 2645-ter c.c., inserita dall’art. 39 novies D.L. 30 dicembre 2005, n. 273 e ritenuta dalla dottrina maggioritaria come istitutiva di una nuova categoria generale appunto di “atti di autodestinazione”.
La tesi di cui alla sentenza n. 21614/2016, sez. tributaria
La Corte di Cassazione, tuttavia, nella sentenza in commento ha ritenuto che entrambe queste tesi debbano essere motivatamente disattese, operando così un deciso revirement che di fatto innesca un conflitto giurisprudenziale sul punto, in attesa che uno dei due orientamenti si consolidi a discapito dell’altro.
Secondo la S.C., il trust autodichiarato costituirebbe infatti una forma di donazione indiretta, poiché il disponente provvederà a beneficiare i suoi discendenti non direttamente, ma bensì a mezzo del trustee, in esecuzione di un diverso programma negoziale (Cass. sez. trib. n. 25478/2015).
La costituzione del trust – come è normale che avvenga per «i vincoli di destinazione» – produrrebbe insomma soltanto efficacia «segregante» dei beni in esso conferiti, e non invece anche traslativa, e questo sia perché degli stessi il trustee non è proprietario bensì amministratore, sia perché tali beni non possono che essere trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito per la donazione indiretta.
Mancherebbe quindi, secondo la Cassazione, il presupposto fondamentale per l’applicazione dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni, ossia la liberalità alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti (cfr. art. 1 d.lgs. n. 346/1990).
Nel caso del trust autodichiarato, un reale trasferimento è all’evidenza “ontologicamente” impossibile: il programma negoziale di donazione indiretta difatti prevede – come si è detto – proprio la temporanea preservazione del patrimonio – a mezzo della sua “segregazione” – fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari. In altri termini, si viene a creare una situazione temporanea, una sorta di “situazione ponte”, come efficacemente definita dalla dottrina notarile fatta propria dalla Cassazione.
Peraltro, come detto, la Corte di Cassazione manifesta di non condividere neanche le proprie precedenti ordinanze succitate, che ritenevano che l’art. 2 co. 47 del d.l. 262/2006 istituisse un’autonoma imposta “sulla costituzione dei vincoli di destinazione”. Proprio l’interpretazione letterale del testo di legge propugnata da dette pronunce, difatti, denuncia invece come l’unica imposta espressamente istituita dalla norma de qua sia proprio la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni, alla quale, per ulteriore espressa disposizione, sono soggetti anche “vincoli di destinazione”. Di conseguenza, anche per essi il presupposto impositivo rimarrebbe comunque quello stabilito dall’art. 1 d.lgs. n. 346/1990, ossia il reale trasferimento di beni o diritti, e quindi il reale arricchimento dei beneficiari.
Inoltre, evidenzia il Collegio, “l’art. 53 Cost. non pare poter tollerare un’imposta, a meno che non sia un’imposta semplicemente d’atto come per l’essenziale è per es. quella di registro, senza relazione alcuna con un’idonea capacità contributiva”. L’evidente conseguenza di questo assunto non può che essere, quindi, che nel caso di trust autodichiarato l’imposta sarà dovuta in misura fissa, e non proporzionale.
Sulla scorta delle suesposte argomentazioni, pertanto, la Corte di Cassazione esprime il seguente principio di diritto: “L’istituzione di un trust cosiddetto “autodichiarato”, con conferimento di immobili e partecipazioni sociali, con durata predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, con beneficiari i discendenti di quest’ultimo, deve scontare l’imposta ipotecaria e quella catastale in misura fissa e non proporzionale, perché la fattispecie si inquadra in quella di una donazione indiretta cui è funzionale la “segregazione” quale effetto naturale del vincolo di destinazione, una “segregazione” da cui non deriva quindi alcun reale trasferimento di beni e arricchimento di persone, trasferimento e arricchimento che dovrà invece realizzarsi a favore dei beneficiari, i quali saranno perciò nel caso successivamente tenuti al pagamento dell’imposta in misura proporzionale”.
Davide Baraglia