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Vaccini: il consenso scientifico non è necessario per comprovare eventuali danni

Vaccini: il consenso scientifico non è necessario per comprovare eventuali danni

Non è indispensabile la certezza scientifica per provare che una malattia sia stata causata da un vaccino: a decretarlo, i giudici della Corte di Giustizia dell’Ue, con una sentenza per la causa C‑621/15.

Secondo i giudici di Lussemburgo, sono sufficienti indizi quali la prossimità temporale tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza di una malattia, l’assenza di precedenti medici personali e familiari della persona vaccinata e l’esistenza di un numero significativo di casi repertoriati di comparsa di tale malattia a seguito di simili somministrazioni.

Vaccini e consenso scientifico: il caso

Alla fine degli anni Novanta, a W. è stato somministrato un vaccino contro l’epatite B prodotto da Sanofi Pasteur. Questi ha presto iniziato a manifestare disturbi, che hanno condotto, nel novembre 2000, alla diagnosi di sclerosi multipla. W. è deceduto nel 2011, ma fin dal 2006 la famiglia aveva promosso un’azione giudiziaria contro Sanofi Pasteur per ottenere un risarcimento del danno.

Chiamata a pronunciarsi, la Corte d’appello di Parigi aveva respinto il ricorso dichiarando che non vi è consenso scientifico sul nesso di causalità tra la vaccinazione contro l’epatite B e l’insorgenza della sclerosi multipla.

La sentenza è stata impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione francese che ha, a sua volta, domandato alla Corte di giustizia se, nonostante l’assenza di consenso scientifico e tenuto conto del fatto che, secondo la direttiva dell’Unione sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi, spetta al danneggiato provare danno, difetto e nesso di causalità, il giudice possa basarsi su indizi gravi, precisi e concordanti per ravvisare il difetto del vaccino e il nesso di causalità con la malattia.

Vaccini e consenso scientifico: la direttiva

vaccini

Fulcro della pronunzia è l’interpretazione dell’articolo 4 della direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi.

Come riportato nella parte conclusiva della sentenza «L’articolo 4 della direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985 […] dev’essere interpretato nel senso che non osta a un regime probatorio nazionale, come quello di cui al procedimento principale, in base al quale il giudice di merito, chiamato a pronunciarsi su un’azione diretta ad accertare la responsabilità del produttore di un vaccino per danno derivante da un asserito difetto di quest’ultimo, può ritenere, nell’esercizio del libero apprezzamento conferitogli al riguardo, che, nonostante la constatazione che la ricerca medica non stabilisce né esclude l’esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della malattia da cui è affetto il danneggiato, taluni elementi in fatto invocati dal ricorrente costituiscano indizi gravi, precisi e concordanti i quali consentono di ravvisare la sussistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità tra detto difetto e tale malattia».

Tuttavia, i giudici nazionali devono assicurarsi che l’applicazione concreta che essi danno a tale regime probatorio non conduca a violare l’onere della prova instaurato dall’articolo 4 né ad arrecare pregiudizio all’effettività del regime di responsabilità istituito da tale direttiva.

Eloisa Zerilli

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