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Migranti: Corte Ue, gli Stati hanno sei mesi per ritrasferire i richiedenti asilo

Il principio cardine del sistema di Dublino, la competenza del Paese di primo arrivo del richiedente asilo nell’esame della relativa domanda di protezione internazionale, ha dei limiti precisi. Lo ribadisce la Corte di Giustizia dell’Ue, in una sentenza che riguarda la vicenda di un cittadino iraniano, Majid Shiri, che ha contestato dinanzi ai giudici austriaci il rigetto della sua domanda di protezione internazionale in Austria e il suo trasferimento in Bulgaria. Il Paese balcanico, attraverso il quale Shiri aveva fatto ingresso nell’Unione europea e in cui aveva presentato la domanda, aveva precedentemente accettato di riprenderlo in carico.

Shiri sostiene che l’Austria, sulla base del regolamento Dublino III, è divenuta competente a esaminare la sua domanda, in ragione del fatto che egli non è stato trasferito in Bulgaria entro il termine di sei mesi a decorrere dall’accettazione, da parte delle autorità bulgare, della sua ripresa in carico.

Il Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria) ha chiesto alla Corte di Giustizia se, secondo il regolamento Dublino III, la scadenza del termine di sei mesi sia di per sé sufficiente a determinare un simile passaggio di competenza tra gli Stati membri dell’Ue. In questo caso, i giudici austriaci chiedono anche se un richiedente protezione internazionale possa invocare, dinanzi a un giudice, questo passaggio di competenza.

Con la sentenza di oggi, la Corte risponde che, se il trasferimento non è eseguito nel termine di sei mesi, la competenza passa automaticamente allo Stato membro che ha chiesto la presa in carico (nel caso in questione, l’Austria), senza che sia necessario che lo Stato membro competente (in questo caso la Bulgaria) rifiuti di (ri)prendere in carico l’interessato.

La soluzione, osservano i giudici di Lussemburgo, non solo emerge dalla formulazione stessa del regolamento Dublino III, ma è anche coerente con l’obiettivo di assicurare che le domande di protezione internazionale vengano esaminate rapidamente.

Una simile soluzione, infatti, garantisce che, in caso di ritardo nell’espletamento della procedura di (ri)presa in carico, l’esame della domanda di protezione internazionale sia effettuato nello Stato membro in cui si trova il richiedente, in modo da non ritardare ulteriormente la procedura.

Peraltro, la Corte dichiara che un richiedente protezione internazionale può far valere la scadenza del termine di sei mesi davanti a un giudice. Ciò a prescindere dal fatto che tale termine sia scaduto prima o dopo l’adozione della decisione di trasferimento. Gli Stati membri sono obbligati a prevedere, al riguardo, un mezzo di ricorso “effettivo e rapido”.      La Corte precisa, in questo contesto, che, qualora il termine di sei mesi sia scaduto in data successiva a quella dell’adozione di una decisione di trasferimento, le autorità competenti dello Stato membro richiedente (nel caso in questione, l’Austria) non possono procedere al trasferimento dell’interessato verso un altro Stato membro.      Al contrario, concludono i giudici di Lussemburgo, esse “sono tenute ad assumere d’ufficio i provvedimenti necessari per riconoscere la competenza che viene loro trasferita” e per “avviare senza ritardo l’esame della domanda di protezione internazionale presentata dall’interessato”.       (Red-Tog/AdnKronos)

 

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